Il caos nel governo per le trivelle nello Ionio

di Davide Tabarelli
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Lunedì 7 Gennaio 2019, 01:33 - Ultimo aggiornamento: 02:33
L’energia è il settore dove emergono con più evidenza le barriere alla crescita economica dell’Italia e del suo Meridione. L’Italia, assieme al Giappone, è il paese che più dipende da importazioni di energia dall’estero per quasi l’80%.

E’ il quarto mercato energetico d‘Europa, il nono al mondo, con consumi di 170 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep), di cui 120, il 71% del totale, sono gas e petrolio, comprati per gran parte, 110 Mtep, da paesi come Russia, Libia, Algeria, Iraq, Iran, Arabia Saudita e tanti altri e che, con i soldi dei consumatori italiani, ci fanno spesso cose bizzarre, come fare piste di sci nel deserto e organizzare partite di calcio di squadre europee.

L’attuale produzione italiana di gas e petrolio, pari a poco meno di 10 Mtep, potrebbe tranquillamente raddoppiare, se non addirittura triplicare. Le nostre riserve accertate di gas sono dell’ordine di 200 miliardi mc e, considerato che il prezzo che paghiamo per le importazioni è di 25 centesimi di euro per mc, il loro valore è di 50 miliardi di euro. Le riserve di petrolio sono circa 1 miliardo di barili che, al prezzo attuale di 60 dollari per barile, 50 euro, hanno un valore anche queste di 50 miliardi di euro. Questi 100 miliardi di risorse l’Italia non riesce a sfruttarli ed è costretta invece ad importare dall’estero per un valore che nel 2018 è stato di oltre 30 miliardi di euro, l’1,8% del Pil.
Da sempre l’Italia è una delle aree geologicamente più ricche d’Europa: tutta la fascia che va dal Piemonte alla Sicilia passando per la dorsale appenninica è ricca di di gas e petrolio.

In provincia di Novara nel parco Nazionale del Ticino, a Trecate, il giacimento di Villa Fortuna produce ancora pochi barili di petrolio al giorno, dopo che negli anni ’90 è stato uno dei principali giacimenti in Europa con produzione pari a 100 mila barili al giorno. Appartiene alla stessa formazione geologica il giacimento di Carisio, a 30 chilometri di distanza, che da oltre 20 anni dalla scoperta non si riesce a sfruttare per opposizione degli enti locali, regione, provincia, comuni, soprattutto questi ultimi, indipendentemente dal partito d’appartenenza dei sindaci. Dall’altra parte, al Sud, di fronte a Taranto, nel Mar Ionio, il Ministero dello Sviluppo Economico pochi giorni fa, a fine dicembre, ha dovuto, in base alle leggi esistenti, conformi alle direttive europee, dare autorizzazione per permessi di esplorazione dei fondali marini.

Si tratta non di perforazioni, ma di esplorazioni, per cercare di capire che tipo di rocce ci sono sul fondale. Da anni, gli ambientalisti italiani, fra i più agguerriti al mondo, hanno individuato le ricerche sismiche come un danno certo della fauna ittica dei nostri mari. Per capire dove si possa trovare il petrolio occorre fare una sorta di ecografia del sottosuolo, come quelle che facciamo in ospedale, e per fare questo occorre mandare delle onde sonore del sottosuolo, dal fondo del mare verso il basso e questo viene fatto con dell’aria compressa che fa una sorta di esplosione, fa del rumore, che ovviamente disturba i pesci che si trovano nei paraggi. In tutto il mondo queste sono le tecniche utilizzate e solo in Italia si parla di vietarne l’impiego, mentre nel resto del mondo, il gas e il petrolio, che contano ancora per oltre il 60% dei consumi totali di energia, viene cercato con queste tecnologie.

Nello Ionio, si sa da tempo, esistono grandi potenzialità, sono una continuazione del grande giacimento che faticosamente si sta sfruttando in Basilicata, quello della val d’Agri, partito nel 1998, il più grande giacimento di petrolio su terra dell’Europa, che attualmente produce 80 mila barili di petrolio al giorno, circa il 7% dei consumi italiani, la quasi totalità della produzione nazionale. Pochi chilometri più a sud c’è il grande giacimento di Tempa Rossa, scoperto oltre 20 anni fa e pronto da mesi a cominciare finalmente a produrre, dopo un investimento da un miliardo e mezzo di euro.

In queste ore la regione nega ancora le autorizzazioni a partire, per timori della regolazione ambientale italiana, una delle più stringenti, ma allo stesso tempo una delle più confuse al mondo. A nord, verso il confine con la Campania, i comuni si sono sollevati in questi giorni contro permessi di esplorazione per ricercare nuovi giacimenti, che certamente ci sono sotto, simili a quello della Val d’Agri. Già nel 2015, sempre per ragioni di forte opposizione locale, la Shell decise di abbandonare un investimento da 2 miliardi di euro di fronte a Taranto per portare in produzione un enorme giacimento che è già individuato e che è gigantesco. Il paese dei paradossi trova nelle così nelle perforazioni, che invece sono ricerche, un’ulteriore palcoscenico della sua teatrale farsa, che per molti italiani, che aspettano sviluppo e crescita, è invece amara realtà.
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