A 89 anni (li compirà il 9 luglio), Lino Banfi ripercorre la sua incredibile vita: dalle bombe a Canosa alla comicità condivisa con Totò e Sordi, passando per la povertà estrema, le notti in stazione, l’ostilità del suocero e i successi televisivi. Il suo segreto? «Non ho mai odiato nessuno. Mi vendico facendo del bene»
Lino Banfi, la memoria viva della comicità italiana, ha quasi 90 anni e una carriera che ha attraversato epoche e generazioni, dal teatro d'avanspettacolo alla fiction più amata della TV. In una lunga intervista rilasciata a La Repubblica, l’attore pugliese rivive l’infanzia durante la guerra, la miseria, la lotta per sopravvivere – tra gettoni telefonici, treni notturni e lavori di fortuna – e la conquista del successo, sempre con il sorriso.
«Facevo ridere per non piangere. A sei anni, sotto le bombe, mettevo in scena l’Orlando Furioso con pupazzi fatti in casa.
L’infanzia sotto le bombe e la povertà vera
Il piccolo Pasquale Zagaria – questo il suo vero nome – cresce a Canosa di Puglia durante la Seconda guerra mondiale. «Correvo al rifugio con i pupazzi in tasca. Mi volevano prete, ma facevo ridere anche in seminario. E oggi mi chiedo: ma a me, chi mi ha fatto ridere?». Banfi racconta con crudezza la miseria vissuta negli anni '50: notti in stazione, cartelli al nord che recitavano «Non si affitta ai meridionali», pasti saltati, lavoretti al limite della legalità. Tra questi, il “cambiatore di gettoni”: «Mi vestivo da signore e chiedevo due gettoni per telefonare. Poi li consegnavo in trattoria e cenavo».
L’odio del suocero e la vendetta gentile
Dietro il tono scanzonato, si nasconde una vita segnata anche da ostilità e violenze familiari. «I parenti di mia moglie non mi volevano. Mio suocero diceva che mi avrebbe tagliato la testa. Poi è morto tra le mie braccia. E alla fine li ho portati tutti a Roma: sono diventati la mia famiglia». Il rancore, però, non ha mai trovato spazio nel cuore dell’attore: «Io mi vendico facendo del bene. Un collega mi disse che sarei morto di fame. Quando ebbi il primo ruolo da protagonista, lo chiamai e gli raddoppiai il cachet. Se lo ricordò per tutta la vita».
La tv, i film e la lunga amicizia con Totò, Sordi e Arbore
Oggi Banfi è noto come il "nonno d’Italia", ma il suo percorso è passato anche per il grande cinema, accanto a Nino Manfredi e Alberto Sordi – che lo chiamava “cispadano” – e per la televisione popolare, da Senza rete a Un medico in famiglia, passando per la mancata partecipazione a Don Matteo. «Mi proposero il ruolo del prete con il basco. Ma scelsero un altro progetto. Se avessi fatto Don Matteo, forse si sarebbe chiamato diversamente…». Renzo Arbore, amico e sodale, lo definisce “una vera vittima comica”, non costruita. «Mi facevano arrabbiare perché così facevo ridere. Il segreto era farmi perdere la pazienza: allora dicevo ‘vi spezzo il capocollo’ e tutti giù a ridere».
Banfi bisnonno e la religione
«Da quattro mesi sono bisnonno. È una sensazione incredibile, ma anche assurda. Ho timore a prendere in braccio la bambina: è così fragile. Però so che è parte di me». In questi anni Banfi ha incontrato più volte Papa Francesco. Sta scrivendo un libro con un vaticanista e il titolo, suggerito durante un incontro in Vaticano, sarà: Ho fatto ridere tre papi. «Gli ho chiesto: ‘Santità, le piace?’ E lui: ‘Curioso. Il terzo sono io?’». L’attore, da sempre legato alla figura del frate più che del prete, è incuriosito anche dal nuovo pontefice americano: «Ha vent’anni in meno, è dinamico. Vorrei conoscere Papa Leone. I frati mi piacciono di più: stanno tra la gente, raccolgono l’elemosina, sono come me e Francesco, popolari». Tra gli aneddoti che colora con ironia, anche quello legato ad Antonello Venditti: «Era caduto in piscina al buio, non sapeva nuotare. Tornò zuppo e pallido. Io ci ho scritto pure una poesia, ma non la ritrovo più…».