Vaccino, contagiati dopo due dosi? L'identikit dei più colpiti: «Hanno 40 anni e sono donne»

Vaccino, contagiati dopo due dosi? L'identikit dei più colpiti: «Hanno 40 anni e sono donne»
di Francesco Padoa
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Martedì 3 Agosto 2021, 11:01 - Ultimo aggiornamento: 4 Agosto, 08:43

Si succedono le ricerche e sempre più chiarezza gli scienziati fanno sul rapporto tra il coronavirus e i vaccini. Ora si è scoperto che gli anticorpi neutralizzanti presenti nel sangue possono predire il rischio di venir contagiati dal Sars-Cov-2 dopo esser stati vaccinati e possono essere un marcatore predittivo affidabile per valutare la necessità di una terza dose per proteggere dalle varianti emergenti. E' ancora difficile capire perché alcuni vaccinati – con il ciclo di immunizzazione completato – si infettano e altri che entrano in contatto con il coronavirus no, ma ora c'è uno studio israeliano che può aiutare a trovare delle risposte. Lo studio è basato sui dati di quasi 11.500 operatori sanitari in Israele, ed è stato pubblicato sul New England Journal of medicine. (Nejm). Tra 1497 operatori sanitari completamente vaccinati per i quali erano disponibili dati RT-PCR sono stati identificati 39 lavoratori che erano stati infettati da SARS-CoV-2 nonostante fossero completamente vaccinati con doppia dosa di Pfizer-BioNTech, andando incontro alla cosiddetta «breakthrough infection». Tutti avevano sintomi lievi o nessuno. Per 22 dei 39 lavoratori gli autori sono stati in grado di ottenere misurazioni anticorpali effettuate il giorno in cui sono state rilevate le infezioni o nella settimana precedente. Delle 39 persone risultate positive 18 (46%) sono membri del personale infermieristico, 10 (26%) addetti all'amministrazione o alla manutenzione, 6 (15%) collaboratori sanitari e 5 (13%) medici. L'età media dei 39 lavoratori contagiati è di 42 anni e la maggioranza sono donne (64%). L'intervallo mediano dalla seconda dose di vaccino al rilevamento di SARS-CoV-2 è stato di 39 giorni (intervallo, da 11 a 102).

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Il livello di anticorpi
I ricercatori hanno anche esaminato i dati di 104 lavoratori completamente vaccinati che non sono stati infettati pur essendo stati a contatto con il virus. Il confronto ha mostrato che i livelli di anticorpi neutralizzanti erano più bassi tra coloro che sono stati infettati, fornendo la prima prova diretta di questo effetto. I risultati rafforzano i dati precedenti raccolti durante gli studi clinici sul vaccino Oxford-AstraZeneca relativi a un legame tra livelli più elevati di anticorpi neutralizzanti e una minore probabilità di infezione. Lo studio, come indicano i ricercatori, ha alcuni
«limiti», come quello relativo al numero di casi relativamente piccolo preso in considerazione e rappresentato da persone giovani e sane. Le infezioni verificatesi hanno comunque evidenziato sintomi lievi che non hanno richiesto il ricovero in ospedale, e tantomeno in terapia intensiva.

Per questo «non è stato possibile determinare il correlato della protezione da infezioni o infezioni gravi in ​​popolazioni vulnerabili di persone anziane con malattie coesistenti». Potrebbero essere stati persi per strada «casi asintomatici nonostante l’intenso sforzo di testare tutti gli operatori sanitari esposti».

 

Lo studio continua
Lo studio «è un passo importante nell'ulteriore convalida dell'uso del titolo di anticorpi neutralizzanti diretti contro il virus come un elemento correlato della protezione» o marker, afferma Miles Davenport, immunologo presso l'Università del New South Wales a Sydney, in Australia. Ma concludono i ricercatori, «l'analisi non fornisce un livello specifico di anticorpi associato alla protezione, e su questo è necessario ora indagare». La ricerca è stata effettuata nel più grande centro medico in Israele, dove sono state identificate le infezioni eseguendo valutazioni approfondite sugli operatori sanitari che erano sintomatici (compresi sintomi lievi) o che erano stati esposti a infezioni note. Queste valutazioni includevano indagini epidemiologiche, test molecolari ripetuti, test diagnostici rapidi di rilevamento dell'antigene, test sierologici e sequenziamento genomico. Le correlazioni dell'infezione sono state valutate in un'analisi caso-controllo.

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