Gaza, gli ostaggi liberati raccontano la vita nel buio dei tunnel: «Poco cibo, quando c'era. Ma non ci hanno picchiato»

Le testimonianze: notti trascorse legati alle sedie di plastica, prigioni separate per uomini e donne, unica concessione la radio israeliana

Gaza, gli ostaggi liberati raccontano la vita nel buio dei tunnel: «Poco cibo, quando c'era. Ma non ci hanno picchiato»
di Marco Ventura
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Lunedì 27 Novembre 2023, 07:27 - Ultimo aggiornamento: 17:59

Nei video della liberazione, gli anziani vengono accompagnati negli ultimi passi verso il pulmino bianco del Comitato internazionale della Croce Rossa di Ginevra. Barcollano e si guardano attorno sgomenti, quasi increduli, e terrorizzati. C'è chi dev'esser preso in braccio. Una ragazza che si trovava al festival musicale Nova a Reim, nel deserto, ha una gamba rotta per un proiettile che l'ha colpita. Ma tra i primi gruppi di ostaggi rilasciati, è forse l'unica ad avere bisogno di cure immediate e trattamento medico. Gli altri sono in condizioni «buone» o «stabili», recitano i bollettini delle cliniche, tranne l'84enne che ieri è stata trasportata d'urgenza in elicottero in ospedale. Le ferite sono più profonde di quelle visibili. Probabile che a essere liberati siano gli ostaggi che stanno fisicamente meglio, non quelli malmessi. Le testimonianze coincidono.

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I RACCONTI

I redivivi parlano di scarsità di cibo e di fame, la stessa che però affligge un po' tutti gli abitanti della Striscia.

Soprattutto nelle ultime due settimane prima del rilascio, le razioni si erano ridotte a un po' di riso. E, poi, la paura e le notti insonni, stesi per terra o su sedie di plastica, alcuni legati. La paura di morire sotto le bombe nei raid israeliani o di essere linciati dalla folla a Gaza, fino al trasferimento verso la libertà. Non devono ingannare, ovviamente, i sorrisi forzati e i saluti obbligati con le mani che fanno "ciao ciao" ai carcerieri, nei filmati diffusi da Hamas che dovrebbero dimostrare un trattamento di favore. Raccontano gli ex ostaggi che in alcuni casi erano abbandonati a sé stessi in stanze chiuse, e dovevano cucinarsi da soli con quel poco che gli veniva dato. Verso la fine, a parte qualche cucchiaio di riso c'era appena la disponibilità di una focaccia al giorno.

NESSUNA VIOLENZA

Keren Munder, liberata venerdì, per bocca di sua cugina ha fatto sapere che c'erano giorni in cui si pativa la fame e si aveva a disposizione appena un tozzo di pane. Nessuna tortura, in compenso. Alcuni prigionieri sono stati autorizzati anche ad ascoltare la radio israeliana e è così che Hannah Katzir ha saputo del figlio assassinato, ma solo il giorno della liberazione ha appreso che il marito era tenuto pure lui ostaggio a Gaza. Le famiglie sono state separate. Donne e bambini da una parte, gli uomini dall'altra. Itai Pessach, un primario di pediatria allo Sheba Medical Center, si rallegra che nonostante tanti giorni di prigionia, nessuno degli otto bambini e delle quattro donne che ha visitato «necessiti di interventi medici importanti o urgenti». Stabili pure le condizioni degli ostaggi accolti dagli ospedali Soroka e Shamir. Da Washington, Biden ha riconosciuto dopo la liberazione del primo gruppo di israeliani che «tutti questi ostaggi sono passati attraverso un calvario terribile, questo è solo l'inizio di un lungo viaggio verso la guarigione, gli orsacchiotti ha detto aspettano i bambini negli ospedali e stanno là a ricordare il trauma che questi piccoli hanno attraversato nella loro tenera età». Anche perché molti lasciano a Gaza i familiari o hanno assistito alla loro uccisione il 7 ottobre.

L'INCUBO INFINITO

Ruti e Keren Munder raccontano come siano riuscite a tenere il conto dei giorni, per non perdere la cognizione del tempo e non impazzire. Con il figlio di Keren, Ohad, 9 anni. In molti casi, donne e bambini si sono chiusi nelle stanze di sicurezza, e gli uomini sono rimasti fuori a difenderle e combattere. Il marito di Ruti (che ha 78 anni), Abraham, è nei sotterranei di Gaza mentre il figlio Roee risulta tra i 1200 morti nell'assalto. Abraham è vecchio, non ci vede bene e cammina appoggiato a un bastone. Uno degli ostaggi liberati ha raccontato gli ultimi quarti d'ora prima di raggiungere il valico di Rafah, coi giovani lungo la strada che lanciavano sassi e la paura di essere tirati fuori e massacrati. Altri raccontano di aver dovuto aspettare fino a due ore prima di avere il permesso di andare al bagno. Dice alla Cnn Roongarum Wichanguen che il fratello Vetoon Phoome, uno dei lavoranti thailandesi sequestrati con gli israeliani, «sembrava stare bene, era felice, non è stato aggredito né torturato, e ha mangiato come si deve». Ma un immenso punto interrogativo riguarda le condizioni delle donne, in base alle testimonianze che si stanno raccogliendo su stupri, e dei feriti rimasti a Gaza in condizioni estreme.

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