Putin, perché una tregua solo per tre giorni? Qual è l'obiettivo di Mosca. Gelo di Trump: «Non basta, deve essere permanente»

Dal Cremlino la proposta di 72 ore di cessate il fuoco unilaterale dall’8 al 10 maggio

Putin, perché una tregua solo per tre giorni? Qual è l'obiettivo di Mosca. Gelo di Trump: «Non basta, deve essere permanente»
di Marco Ventura
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martedì 29 aprile 2025, 00:15 - Ultimo aggiornamento: 30 aprile, 10:32

Un’altra tregua limitata e non immediata, ma mediatica e dimostrativa, dopo quella di 30 ore a Pasqua. Vladimir Putin annuncia questa volta 72 ore di cessate il fuoco unilaterale dall’8 al 10 maggio, in coincidenza con una ricorrenza fondamentale per la Russia: il 9 maggio, Giorno della vittoria sul nazismo nella Seconda guerra mondiale. E aggiunge di aspettarsi che la parte ucraina «segua l’esempio». È la risposta dello Zar alla pressione di Trump che ha invitato sia lui che Zelensky a smetterla di combattersi e a «sedersi e firmare un accordo».

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Il gelo di Trump

Ma la Casa Bianca non è soddisfatta: «La tregua dev’essere immediata e permanente».

Proposta che aveva avanzato Trump ed era stata accettata da Zelensky, respinta da Putin. La replica di Kiev è affidata al ministro degli Esteri, Andrii Sybiha: «Se la Russia vuole davvero la pace, deve cessare subito il fuoco e farlo in modo duraturo, affidabile e completo. Perché aspettare l’8 maggio, se possiamo farlo in qualsiasi data per 30 giorni affinché sia reale e non solo una parata?». A Pasqua, la tregua traballò, ma almeno ridusse i combattimenti. Adesso, in gioco c’è la possibilità che Russia e Ucraina avviino un dialogo sotto la guida degli Stati Uniti. Dopo l’incontro fra Trump e Zelensky a Roma, nella Basilica di San Pietro per i funerali di Papa Francesco, il Presidente Usa ha smesso di tirare le orecchie soltanto a Zelensky, ha ipotizzato di mettere sanzioni secondarie (le più dolorose) alla Russia e minacciato ancora una volta, tramite il segretario di Stato Marco Rubio, di abbandonare gli sforzi se in pochi giorni non ci saranno sviluppi. Per non restare col cerino in mano e far vedere la sua buona volontà, Putin rilancia una tregua a singhiozzo, arbitraria, più utile al consenso interno e alla interlocuzione con Trump che a un negoziato vero e proprio. La Pasqua, la Vittoria sul nazismo, le «ragioni umanitarie».

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Le proposte della Russia

Ma intanto il suo ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, al quotidiano brasiliano «O Globo» elenca le pretese russe. Ribadendo tutte le linee rosse che hanno impedito a Putin di accettare una tregua vera e l’avvio del negoziato. Anzi, Lavrov definisce «imperativo» il riconoscimento ucraino non solo della Crimea, ma delle altre quattro regioni parzialmente occupate dall’esercito russo. Conferma che occorre «rimuovere le cause del conflitto alla radice». Che l’Ucraina non possa aderire alla Nato, si impegni a essere un Paese neutrale e non allineato. Demilitarizzato. Senza un vero esercito. Forse per la prima volta in modo così esplicito, Lavrov indica certi Paesi europei, anche confinanti, come un’insidia da cui la Russia deve guardarsi e perciò chiede «solide garanzie di sicurezza per proteggersi da qualsiasi minaccia proveniente dalla Nato, dall’Unione europea e da alcuni dei Paesi membri lungo il nostro confine occidentale». E neanche basta. «Devono essere tolte le sanzioni, cancellati i mandati d’arresto e devono tornare gli asset russi soggetti al cosiddetto congelamento in Occidente». Dietro i comportamenti di Putin e le parole di Lavrov fa capolino la fiducia nel favore di Trump, che nei giorni scorsi ha detto «ormai la Crimea è persa per l’Ucraina, è stata data via da Obama e Biden», e riferendosi al faccia a faccia con il leader ucraino a San Pietro, si è lamentato che Zelensky gli abbia detto di avere bisogno di «più armi», aggiungendo che «lo chiede da tre anni». Il presidente francese Macron e il premier britannico Starmer, da parte loro, insistono per la tregua duratura e per aumentare le pressioni su Putin.

Gli eroi nordcoreani

Sul terreno la guerra prosegue. Lo Zar ringrazia «personalmente» il leader nordcoreano Kim Jong-un per le migliaia di soldati prestati per la riconquista del Kursk. «Onoreremo sempre gli eroi nordcoreani che hanno dato la vita per la Russia». Per Lavrov la palla «non è nel nostro campo». L’equivoco di fondo è che i russi, in sostanza, chiedono di vincere prima di cominciare a trattare. Gli ucraini di fermare le armi e negoziare. Kiev è pronta ad accettare quasi interamente la proposta americana, a partire da quella che forse è la concessione maggiore: il congelamento della prima linea di contatto per un migliaio di chilometri, e il «no» all’adesione alla Nato. Ma non è dato sapere che cosa voglia concedere Putin. Che intanto potenzia le sue forze ai confini con la Nato. Gli ingegneri militari di Mosca Putin lavorano per ampliare e fortificare le basi russe a Petrozavodsk, a 150 chilometri dalla Finlandia. Ci si prepara ad accogliere decine di migliaia di soldati che oggi si trovano sul fronte ucraino. «Quando le truppe rientreranno dall’Ucraina – dice Ruslan Pukhov, direttore del Centro Analisi di Strategie e Tecnologie di Mosca – guarderanno al di là del confine verso un Paese che considerano un avversario».

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