Un’altra tregua limitata e non immediata, ma mediatica e dimostrativa, dopo quella di 30 ore a Pasqua. Vladimir Putin annuncia questa volta 72 ore di cessate il fuoco unilaterale dall’8 al 10 maggio, in coincidenza con una ricorrenza fondamentale per la Russia: il 9 maggio, Giorno della vittoria sul nazismo nella Seconda guerra mondiale. E aggiunge di aspettarsi che la parte ucraina «segua l’esempio». È la risposta dello Zar alla pressione di Trump che ha invitato sia lui che Zelensky a smetterla di combattersi e a «sedersi e firmare un accordo».
Il gelo di Trump
Ma la Casa Bianca non è soddisfatta: «La tregua dev’essere immediata e permanente».
Le proposte della Russia
Ma intanto il suo ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, al quotidiano brasiliano «O Globo» elenca le pretese russe. Ribadendo tutte le linee rosse che hanno impedito a Putin di accettare una tregua vera e l’avvio del negoziato. Anzi, Lavrov definisce «imperativo» il riconoscimento ucraino non solo della Crimea, ma delle altre quattro regioni parzialmente occupate dall’esercito russo. Conferma che occorre «rimuovere le cause del conflitto alla radice». Che l’Ucraina non possa aderire alla Nato, si impegni a essere un Paese neutrale e non allineato. Demilitarizzato. Senza un vero esercito. Forse per la prima volta in modo così esplicito, Lavrov indica certi Paesi europei, anche confinanti, come un’insidia da cui la Russia deve guardarsi e perciò chiede «solide garanzie di sicurezza per proteggersi da qualsiasi minaccia proveniente dalla Nato, dall’Unione europea e da alcuni dei Paesi membri lungo il nostro confine occidentale». E neanche basta. «Devono essere tolte le sanzioni, cancellati i mandati d’arresto e devono tornare gli asset russi soggetti al cosiddetto congelamento in Occidente». Dietro i comportamenti di Putin e le parole di Lavrov fa capolino la fiducia nel favore di Trump, che nei giorni scorsi ha detto «ormai la Crimea è persa per l’Ucraina, è stata data via da Obama e Biden», e riferendosi al faccia a faccia con il leader ucraino a San Pietro, si è lamentato che Zelensky gli abbia detto di avere bisogno di «più armi», aggiungendo che «lo chiede da tre anni». Il presidente francese Macron e il premier britannico Starmer, da parte loro, insistono per la tregua duratura e per aumentare le pressioni su Putin.
Gli eroi nordcoreani
Sul terreno la guerra prosegue. Lo Zar ringrazia «personalmente» il leader nordcoreano Kim Jong-un per le migliaia di soldati prestati per la riconquista del Kursk. «Onoreremo sempre gli eroi nordcoreani che hanno dato la vita per la Russia». Per Lavrov la palla «non è nel nostro campo». L’equivoco di fondo è che i russi, in sostanza, chiedono di vincere prima di cominciare a trattare. Gli ucraini di fermare le armi e negoziare. Kiev è pronta ad accettare quasi interamente la proposta americana, a partire da quella che forse è la concessione maggiore: il congelamento della prima linea di contatto per un migliaio di chilometri, e il «no» all’adesione alla Nato. Ma non è dato sapere che cosa voglia concedere Putin. Che intanto potenzia le sue forze ai confini con la Nato. Gli ingegneri militari di Mosca Putin lavorano per ampliare e fortificare le basi russe a Petrozavodsk, a 150 chilometri dalla Finlandia. Ci si prepara ad accogliere decine di migliaia di soldati che oggi si trovano sul fronte ucraino. «Quando le truppe rientreranno dall’Ucraina – dice Ruslan Pukhov, direttore del Centro Analisi di Strategie e Tecnologie di Mosca – guarderanno al di là del confine verso un Paese che considerano un avversario».