Steve Witkoff ha voluto vedere con i suoi occhi. L’inviato di Donald Trump in Medio Oriente si è diretto nella Striscia di Gaza. Proprio in quel centro di Rafah dove fiumi di disperati ogni giorno cercano gli aiuti ma spesso trovano solo la morte. E dopo cinque ore ha pubblicato solo un breve comunicato. La visita, ha spiegato Witkoff, è servita a «stabilire la situazione sul campo, valutare le condizioni e incontrare la Gaza Humanitarian Foundation». Lo scopo della visita era quello di fornire al presidente Trump una chiara comprensione della situazione umanitaria e contribuire a elaborare un piano per fornire cibo e aiuti medici alla popolazione di Gaza. E mentre il suo inviato e l’ambasciatore Mike Huckabee visitavano la Striscia, è stato lo stesso Trump a parlare. «Vogliamo aiutare le persone. Vogliamo aiutarle a vivere. Vogliamo sfamare la gente. È qualcosa che sarebbe dovuto accadere molto tempo fa», ha detto in un’intervista ad Axios. Ma in attesa di capire quale sia il piano di The Donald, i dubbi, anche sulla visita di Witkoff, sono molti.
Secondo Al Jazeera, la presenza dell’uomo di Trump non avrebbe cambiato nemmeno per qualche ora la dinamica del conflitto. Tanto che testimoni hanno detto che l’Idf avrebbe usato per la prima volta armi silenziate. E anche sul lavoro della Gaza Humanitarian Foundation, definito «incredibile» da Huckabee che ha parlato di «oltre 100 milioni di pasti serviti in due mesi», gli analisti hanno espresso delle perplessità. Secondo la Cnn, con la distribuzione di cento milioni di pasti vorrebbe dire che a ogni abitante è stato consegnato un solo pasto al giorno per 47 giorni. E questo nonostante la Ghf sia operativa da più di due mesi. Inoltre, gli elogi di Huckabee non contano la difficoltà dei civili nel raggiungere i centri e i feriti e i morti durante la lotta per il cibo. Secondo le Nazioni Unite, dal 27 maggio «almeno 1.373 palestinesi sono stati uccisi mentre cercavano cibo», molti dei quali, per l’Onu, provocati dal fuoco dell’Idf. E di questi, 859 erano vicino ai siti della Ghf e 514 lungo le rotte dei convogli.
Proprio i camion rappresentano un altro nodo da sciogliere. Come ha spiegato un documento verificato dall’Adnkronos, il sistema UnOps-Un2720 dell’Onu ha calcolato che in due mesi sono state scaricate circa 40mila tonnellate di aiuti. Di queste però solo 30mila sono state raccolte ai valichi e soltanto 4100 sono giunte a destinazione. Segno che 25.700 pallet sono stati “intercettati”. Non è specificato se questo sia avvenuto perché bloccati da gente affamata o perché assaltati da Hamas o dai clan. Ma è il segnale di come il sistema sia ancora lacunoso. La richiesta della comunità internazionale è che venga dato il via libera all’ingresso di molti più camion. I lanci aerei degli aiuti, a cui si unirà anche l’Italia dal 9 agosto con l'operazione “Solidarity Path Operation 2”, proseguono. Ma senza un flusso ingente di tir che arrivi a destinazione e al sicuro, gli aiuti dal cielo rischiano di essere solo una soluzione di emergenza per due milioni e mezzo di persone affamate.
COMPROMESSO
Tutto passa dall’eventuale tregua. Ma finora, nessuno sembra intenzionato al compromesso. Ieri Witkoff , dopo essere stato a Gaza, ha visitato il Muro del Pianto e ha detto di aver pregato per gli ostaggi e per la fine della guerra. Ma mentre Hamas ha pubblicato un nuovo video di Evyatar David, rapito il 7 ottobre 2023 al Nova Festival e apparso denutrito e pallido, il capo di Stato Maggiore delle forze israeliane, Eyal Zamir, è stato chiaro. «Ritengo nei prossimi giorni sapremo se potremo arrivare a un accordo per il rilascio dei nostri ostaggi», ha detto il generale, «se non sarà così, i combattimenti continueranno senza sosta». Mentre sull’altro fronte, quello della Cisgiordania, dove dilaga la violenza, sono stati tolti gli arresti domiciliari a Yinon Levi, il colono sospettato di avere ucciso l’attivista palestinese Awdah Hathaleen.