Benjamin Netanyahu lo ha detto chiaramente: la presenza militare di Israele a Gaza si prolungherà anche dopo la fine della guerra, non solo nel nord. Posizione in netto contrasto con quella del presidente americano Joe Biden, che considera un gravissimo errore, una volta sconfitta Hamas, occupare militarmente la Striscia come accaduto fino al 2005. Riportando così indietro l’orologio del tempo. Le parole del premier israeliano, pronunciate il 7 novembre davanti alle telecamere della Abc, lasciano poco spazio alle interpretazioni: portata a compimento l’operazione per annientare il nemico, «la responsabilità della sicurezza nella Striscia resterà nelle nostre mani per un periodo indefinito, perché abbiamo visto cosa succede quando non ce l’abbiamo».
Gaza, cosa succederà dopo la guerra?
Le dichiarazioni di Netanyahu forniscono l’indicazione più chiara fin qui espressa circa le intenzioni di mantenere uno stretto controllo su Gaza, dove prima del conflitto vivevano 2,3 milioni di palestinesi. Le Nazioni Unite e altri organismi mondiali, inclusa l’Unione europea, considerano la Striscia tecnicamente occupata: nonostante Israele abbia ritirato le sue forze nel 2005, ha mantenuto il controllo effettivo sul territorio via terra, mare e aria. «Israele garantirà responsabilmente la sicurezza generale per un periodo indefinito», ha affermato lunedì Netanyahu in un’intervista alla ABC News, «perché abbiamo visto cosa succede quando non ce l’abbiamo».
Le ipotesi
A rendere oltremodo nebuloso il piano di Netanyahu per il futuro della Striscia, secondo i media, è che non tutti i membri del suo gabinetto politico hanno trasmesso il medesimo messaggio. Il ministro della Difesa Yoav Gallant sembra suggerire esattamente il contrario per l’amministrazione di Gaza: «Una volta terminati i combattimenti, Israele dovrà porre fine al suo coinvolgimento nella responsabilità sulla vita del territorio», sostiene. Parlando con il Wall Street Journal il ministro degli Esteri Eli Cohen è esplicito: «Non vogliamo governare Gaza. Non vogliamo gestire le loro vite». La possibilità che Israele possa rioccupare militarmente la Striscia come avvenuto nel 1967 è contrastata anche dall’amministrazione americana. Intervenendo da Tokio dove si è svolta la ministeriale dei capi delle diplomazie del G7, il segretario di Stato americano Antony Blinken è stato efficace e sintetico: «Gaza non può continuare a essere governata da Hamas. È anche chiaro che Israele non può occupare Gaza. Ora, la realtà è che potrebbe essere necessario un periodo di transizione alla fine del conflitto». E confida che ciò avverrà: «Non vediamo una rioccupazione - ha aggiunto - e quello che ho sentito dai leader israeliani è che non hanno alcuna intenzione di rioccupare Gaza». Dopo l’intervista di Netanyahu il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha manifestato in maniera molto netta la convinzione degli Usa: «Una rioccupazione di Gaza da parte delle forze israeliane non è la cosa giusta da fare». Messaggio che ha indotto il governo israeliano a ritrattare parzialmente le parole del premier. Mark Regev, consigliere del primo ministro, ha spiegato che a conflitto concluso «ci dovrà essere una presenza di sicurezza, ma questo non significa che Israele rioccuperà Gaza. Non significa che Israele governerà la popolazione di Gaza». Sulle modalità anche Regev è stato fumoso, limitandosi a prevedere «nuove strutture» e un’impostazione di sicurezza «fluida» e «flessibile». Nessuno, rimarca il Guardian, sa in concreto come questa struttura possa funzionare. Sta di fatto che da tempo sono in corso riflessioni sull’operato di Israele, che avrebbe cominciato una guerra contro Hamas senza avere predisposto un piano di lungo periodo. Prima che cominciasse l’invasione di terra della Striscia e a bombardamenti già in corso il Financial Times ha pubblicato un articolo che ha suscitato animazione, riportando i commenti di funzionari governativi statunitensi che avevano partecipato a riunioni con la leadership israeliana. E uno di questi asseriva: «Non c’è un piano per il “day after”. I vertici non hanno ancora deciso. Quando hanno scoperto che non c’era un piano, gli americani sono impazziti».