​Maria Latella

Incidente a Ponte Milvio/ Perché non è una tragica fatalità

di ​Maria Latella
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Lunedì 23 Dicembre 2019, 00:15
«Se stasera prendi la macchina, vai piano perché piove e non si vede niente». «Quando attraversi, guarda sempre da una parte e dall’altra. Le strade sono poco illuminate, le auto corrono senza vedere i pedoni». «Non farti le canne. Oggi una canna ha effetti molto più devastanti di qualche anno fa». Quante volte, quante sere? 
Quante volte, mentre la porta di casa si chiude e nostro figlio, nostra figlia, si avvia verso il rito settimanale che più ci inquieta, quante volte ci siamo sentiti impotenti rispetto all’angoscia del sabato sera?

I dati dell’Asaps (Associazione amici e sostenitori polizia stradale) sono feroci: tra ottobre e novembre, in Italia, 50 ragazzi sono morti per incidenti stradali. Cinquanta in due mesi. Come in una guerra. Perciò per Gaia Romagnoli e Camilla von Freymann non parliamo di tragica fatalità. Tragica di sicuro, ma non è stata una fatalità.
Gaia e Camilla, 16 anni ciascuna, morte sul colpo dopo essere state investire dall’auto guidata da un quasi coetaneo, Pietro Genovese, 20 anni, figlio del regista Paolo, risultato positivo alla cannabis, sono le ultime due vittime della strage di pedoni che solo a Roma nel 2018 ha messo in fila cinquantanove morti. Cinquantanove nel 2018, dieci in più dell’anno prima. 

Da dove cominciare? Dalla disperazione delle famiglie, certo. Non è giusto, non è normale, che il sabato sera, salutando il proprio figlio che esce con gli amici, un genitore debba chiedersi con angoscia se lo rivedrà. Il “ciao, divertiti” del sabato sera non può evocare l’ansia di chi saluta un figlio che va in guerra.
Ma è una guerra. Vogliamo capirlo sì o no? Fin quando si penserà che consumare droghe, pesanti o “leggere” (leggere ancora?) Non abbia effetti sui nostri comportamenti. Di autisti, per cominciare. In macchina o sugli autobus, come si è visto.

Gaia e Camilla erano ragazze serene, brave studentesse, a mezzanotte stavano per tornare a casa. Una famiglia pensa di aver allevato un teen ager responsabile, un ragazzo o una ragazza che non si fa incastrare dall’obbligo dello sballo del sabato sera. Questa famiglia, che ogni giorno combatte a mani nude contro ogni genere di pericolo - dalla droga, all’alcol, alla dipendenza tecnologica - questa famiglia avrebbe il diritto di non temere per la vita del figlio quando esce il sabato sera.

Spiegare ai ragazzi che rispettare le regole è cool. Non è da sfigati, tutt’altro: significa, talvolta, salvarsi la vita. Da genitori, dare il buon esempio: rispettare i semafori, attraversare sulle strisce pedonali. La vita di un figlio oggi si protegge anche cosi, a cominciare dalle piccole cose che sembrano troppo piccole per darvi importanza.
Ma una volta che si è in pace con la propria coscienza di padre o di madre, una volta che si è detto e ripetuto al proprio figlio: « Se stasera prendi la macchina vai piano», una volta che la porta di casa si è chiusa insieme all’eco delle solite raccomandazioni, che cosa può fare di più un genitore?

Può solo chiedere che chi ha il compito di controllare, controlli. Si sa che il sabato sera alcune zone della città, in questo caso Roma, sono ad alta densità di adolescenti e dunque ad alta densità di rischio: si faccia in modo che i ragazzi si sentano sotto osservazione. Alcol test e test su consumo di droghe, agli automobilisti. A sorpresa. E ritiro della patente, immediato, per chi risulta positivo.

A Londra il sabato sera gli agenti, ben visibili, sono ovunque. Questo non impedisce accoltellamenti o perfino attentati, ma certo li limita e comunque consente di identificare rapidamente i colpevoli, quando e se qualcosa accade. Ottima l’iniziativa varata dal prefetto Pantalone: più telecamere e più illuminazione, ma conta anche il rispetto delle regole. Gli incidenti stradali capitano ovunque, ma la severità con la quale vengono trattati fa si che nessuno prenda la cosa sotto gamba. In questi giorni, per dire, l’opinione pubblica britannica segue con attenzione la vicenda di un ragazzo ucciso in un incidente stradale. L’automobilista responsabile, un’americana moglie di un diplomatico, è riuscita a fuggire negli Usa, ma gli inglesi vogliono che torni e che affronti il processo britannico. I media ne parlano ovunque.

Qualche anno fa il rispetto delle regole, i controlli, avevano fatto diminuire i morti sulle strade italiane. Se sai che ti toglieranno molti punti dalla patente, quando sei alla guida rallenti. Se sai che a ponte Milvio, sul lungotevere verso Trastevere o nelle altre aree della cosiddetta movida ti multeranno se attraversi col rosso o lontano dalle strisce, starai attento. Se sai che potrai essere fermato, non ti metterai alla guida dopo aver fumato una canna.
Perciò non scriviamo, non diciamo, che Gaia e Camilla sono morte perché il destino ha voluto così.
Sono morte perché in quel tratto di corso Francia nessuno rispetta i limiti di velocità, così come noi, noi adulti, non solo i ragazzi, a volte attraversiamo dove capita.

Non tutto può essere evitato, la tragica fatalità è parte della vita, non l’hanno inventata i cronisti. Ma questa volta no, non diamo al fato una colpa non sua.
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