Omicidio Lisi a Ceprano, la Corte d'Appello:
"Pamela uccise con una coltellata a sorpresa»

Omicidio Lisi a Ceprano, la Corte d'Appello: "Pamela uccise con una coltellata a sorpresa»
di Vincenzo Caramadre
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Sabato 14 Settembre 2019, 17:21
«Una coltellata sferrata con inaudita violenza che non ha dato alla vittima modo di riprendersi». E’ questo il passaggio fondamentale delle motivazioni con cui la Corte d’Assise d’Appello di Roma, lo scorso 19 giugno, ha condannato a sedici anni di carcere Pamela Celani, la 27enne originaria di Alatri che il 31 maggio 2017 uccise il suo compagno Felice Lisi di 24 anni. In questi giorni sono arrivate le motivazioni e la difesa della donna, rappresentata dall’avvocato Alessio Angelini, ha annunciato ricorso in Cassazione. Un omicidio d’impeto che non trova giustificazione nella legittima difesa, tantomeno nell’eccesso colposo di legittima difesa. Il gesto compiuto dalla donna è stato inquadrato nell’alveo dell’omicidio escludendo altre ipotesi. Ciò vuol dire che Pamela, consapevolmente e in maniera lucida, sferrò la coltellata al cuore del compagno all’interno dell’abitazione di via Guardaluna, a Ceprano. «Il colpo - scrivono i magistrati d’appello - fu inferto a sorpresa e previo prelevamento dell’arma in altra stanza. Si è trattato di un’aggressione diretta e non di un conato difensivo dettato dalla disperazione di chi si sente letteralmente con la gola stretta nella morsa di un assalitore». In un primo momento, infatti, la donna ha tentato di motivare il gesto come una reazione difensiva nel corso di un litigio. C’è poi l’aspetto legato alla piena imputabilità della donna. Ad espletare la perizia è stato il professor Stefano Ferracuti, il quale nella sua relazione ha concluso per il riconoscimento del disturbo borderline della personalità. «Celani - scrivono i giudici - è affetta, non in maniera lieve, dal disturbo della personalità. Il perito ha ribadito più volte il concetto che è malata ma non in modo irreversibile». Ciò ha portato all’imputabilità e a tracciare il profilo psicologico. «La Celani - concludono i giudici - non è nuova ad episodi di violenza, ha colpito Lisi, dal quale non era stata minacciata nei termini da lei descritti, dando sfogo ad una propria abituale condotta di violenta contrapposizione che affonda radici nella sua personalità, ma nella piena consapevolezza del disvalore della propria condotta e accettando lucidamente le conseguenze (omicidio), al punto da cercare, nelle fasi successive, di stornare le sue responsabilità in maniere mendace». I giudici si riferiscono alla prima versione dei fatti raccontata dalla donna, quando riportò la morte del compagno a un suicidio. Una versione smentita dopo due settimane quando, davanti al pm Caracuzzo e alla presenza del suo avvocato Alessio Angelini, confessò: «Abbiamo litigato e l’ho ucciso». Confermata dunque la sentenza del gup di Frosinone del 28 maggio 2018, nell’ambito del processo con rito abbreviato. La famiglia della vittima, alla quale è stato riconosciuto un risarcimento di oltre 500mila euro, è stata assistita dall’avvocato Claudio Persichino
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