Mario Ajello
​Mario Ajello

Due anni di guerra/ Il destino dell'Ucraina che riguarda l'Occidente

di ​Mario Ajello
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Lunedì 19 Febbraio 2024, 00:02

Cade in questa settimana, sabato 24 febbraio, l’anniversario dell’invasione russa in Ucraina. Due anni di guerra, e una pace ancora lontana, che contengono dieci lezioni di storia e di politica importantissime per noi italiani ed europei. 

La prima, che è chiara al nostro governo e a tutti i cittadini più avvertiti e consapevoli del pericolo rappresentato dall’espansionismo russo, è che in Ucraina bisogna resistere. Perché in uno scenario in cui Kiev capitolasse, il Cremlino potrebbe sentirsi incoraggiato ad allargare il conflitto ad altre aree e ad altri Paesi. La sconfitta dell’Ucraina significherebbe la sconfitta dell’Occidente. E non ce la possiamo permettere. 

La seconda lezione dei due anni di guerra è che non si può più indulgere - come fanno una parte della sinistra di derivazione ex comunista e certo cattocomunismo nostrano ancora in vigore e portato a un pacifismo arrendevole - alla retorica del «non provocare la Russia», perché il ritorno della guerra in Europa è proprio il prodotto di queste debolezze che la Russia ha sfruttato nell’ultimo decennio. 
Terza lezione: gli ucraini possono vincere ma hanno bisogno d’aiuto. E di un fronte compatto alle loro spalle, che purtroppo esiste sempre meno.

Sia per la stanchezza delle opinioni pubbliche europee verso questa guerra in cui nessuno dei due contendenti sta vincendo e l’intero continente è appeso a una contesa di cui non si vede la fine e che provoca danni economici e finanziari per tutti; sia per le prove di smarcamento - sugli aiuti militari - che la destra americana in attesa della possibile vittoria di Trump nel prossimo autunno sta attuando nel Congresso di Washington e contro Biden. 

Nelle prime settimane dell’invasione russa, l’Occidente era convinto che l’Ucraina sarebbe capitolata in pochi giorni. Ora deve convincersi sempre di più e soprattutto in questa fase in cui la Russia sembra prevalere, che - ed ecco la lezione numero quattro - occorre avere eserciti in grado di difendere i Paesi liberi e le nostre democrazie. 

Le forze armate devono tornare ad essere uno strumento militare - il ministro della Difesa Crosetto su questo ha una visione molto nitida - pronto ad assicurare la difesa dello Stato e allo stesso tempo urge, come è venuto fuori anche dalla conferenza di Monaco sulla sicurezza, costruire finalmente una forza comune europea che funga da deterrente contro ogni aggressione militare. 

Non si tratta, banalmente, di disporsi nella modalità “si vis pacem, para bellum”, ma di riconoscere e affrontare un cambiamento epocale: l’aggressione dell’Ucraina ha messo in moto la macchina bellica dei Paesi autoritari, non solo la Russia ma anche la Cina, l’Iran, la Corea del Nord. Ciò obbliga l’Europa ad aumentare le spese per la difesa e a non pensarsi più come un luogo in cui ancora vige quell’appeasement stabilito dalle regole successive alla seconda guerra mondiale. Si tratta insomma di fare i conti con la realtà, senza baloccarsi in idealismi ormai fuori dal tempo purtroppo o nel vecchio concetto kantiano e illuminista della «pace perpetua». 
La quinta lezione: serve un rilancio della Nato con un’Europa molto più protagonista e dotata, come dice la presidente von der Leyen, di un’industria della difesa molto integrata tra i vari Paesi e non frammentata e scoordinata. La sesta lezione: occhio al Mediterraneo, perché in quell’area geopolitica che l’Europa ha abbandonato e in cui si gioca buona parte dei destini del mondo le potenze extra europee stanno diventando padrone. 
Tutto questo ha innescato la guerra in Ucraina e in due anni di caos globale sono emerse però, per chi le vuole vedere, alcune evidenze tra le quali c’è questa e siamo alla lezione numero sette: il necessario rilancio del multilateralismo, cioè attrezzarsi con organismi in cui ci si accorda per gestire tutti insieme le crisi secondo un approccio che non è più quello del passato novecentesco (da questo punto di vista il G7 a presidenza italiana può dare un primo segno di rinnovato impegno pragmatico nel governo del mondo). 

La lezione numero otto: essere sempre pronti, e fare di tutto perché accada, a discutere i termini del cessate il fuoco ma non a subire ultimatum o proposte di resa unilaterale.

La nove è questa: fare di tutto, come europei, per convincere Trump, se sarà lui il prossimo presidente americano, a comprendere fino in fondo l’importanza della posta in gioco e a non abbandonare l’Ucraina in nome di un neo-isolazionismo che rischia di non fare bene a nessuno. 

La lezione numero dieci è di tipo filosofico ma di filosofia della prassi. Ammettere soprattutto a noi stessi - come scrive Mario Vargas Llosa nella sua splendida autobiografia: «Il richiamo della tribù» (Einaudi) - che «la dottrina liberale è quella che nelle società ha fatto progredire maggiormente i diritti umani, la libertà di espressione, la partecipazione del cittadino comune alla vita pubblica». 

E dunque: maggiore orgoglio di noi stessi, ossia la fine del pentimento o del senso di colpa di essere occidentali, amanti della democrazia e della libertà, e un surplus di fiducia nei nostri valori che significa tra l’altro non essere arrendevoli di fronte a chi professa e applica criteri di violenza e di conquista. In questo il popolo ucraino si sta rivelando maestro e sta difendendo l’Europa intera. Ma da solo non ce la farà mai.

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