Paolo Balduzzi
Paolo Balduzzi

Occupazioni choc/ Cosa vogliono quei giovani che devastano le loro scuole

di Paolo Balduzzi
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Mercoledì 10 Gennaio 2024, 00:00

Uno dei più grandi scandali della scuola italiana è tradizionalmente stato il pericolo che, nelle prime settimane di settembre, molte lezioni non potessero tenersi a causa dei ritardi nell’assegnazione delle cattedre. Un’interruzione del servizio che ha sempre creato notevoli disagi a studenti e famiglie e di cui, naturalmente, i ragazzi non sono che chiare vittime. Proprio per questa ragione, si connota come incredibile, ancor prima che inaccettabile, l’impossibilità di riaprire le porte delle scuole in questo gennaio a causa delle devastazioni che proprio gli studenti hanno operato durante le occupazioni e autogestioni di dicembre.
Solo a Roma, ma il fenomeno è diffuso su scala nazionale, si contano danni per circa mezzo milione di euro. Col pericolo, ormai ben presente ai dirigenti scolastici e già documentato da questo giornale, che gli investimenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) su strutture e dotazioni tecnologiche siano i prossimi bersagli di questa inspiegabile violenza. Cosa spinge questi studenti a farsi del male da soli? E cosa li spinge a danneggiare i loro compagni, vittime innocenti, a questo punto due volte? La “mancanza di valori” è una spiegazione che non è certo peculiare di questi tempi ma che è sempre stata utilizzata dalle generazioni più anziane per spiegare il comportamento giovanile. 

Spesso si tratta di una scusa per nascondere la nostra incapacità di comprendere le giovani generazioni. Tuttavia, guardando alle annacquate e vaghe motivazioni che spesso giustificano le autogestioni, la tesi assume una certa valenza. Come affrontare il problema? La prima ipotesi è quella di mettere in atto strategie correttive e punitive, per esempio responsabilizzando le famiglie o i singoli vandali. In altre parole, scaricando su di loro i costi dei risarcimenti. Una soluzione che richiede controllo e precisa identificazione dei responsabili e l’intervento della forza pubblica, con tutte le conseguenze del caso in termini di tensione sociale. Un’altra possibilità è quella di ripartire i danni tra tutti gli alunni, così da incentivare anche l’isolamento e la condanna di certi comportamenti. Con il chiaro svantaggio, però di rendere gli innocenti vittime per la terza volta. 

Forse, allora, meglio provare a ragionare su strategie preventive, magari meno efficaci nell’immediato ma più utili nel medio e lungo periodo.

Il celebre economista tedesco Albert O. Hirschman distingueva due modalità attraverso cui i cittadini esprimono le loro preferenze politiche: la “voce” e l’“uscita”. Sono categorie ancora valide oggi per spiegare il comportamento dei giovani. L’uscita fa riferimento all’abbandono della patria per andare alla ricerca di un altro stato le cui politiche siano maggiormente in linea con le proprie preferenze. Per qualcuno, l’uscita è diventata una vera e propria fuga: “fuga dei cervelli”, infatti, viene chiamato dai giornalisti e dalla politica il fenomeno per cui giovani laureati, o comunque qualificati, abbandonano, spesso per sempre, il nostro paese, portando così le loro competenze e il loro capitale umano all’estero. La voce invece è l’espressione esplicita delle proprie opinioni e si può declinare in diversi modi. La manifestazione in piazza e l’occupazione delle scuole sono esempi di “voci” utilizzati da tempo. I recenti vandalismi sono anch’essi una strategia di voce, ben più preoccupante. Ma, allo stesso tempo, anche più rumorosa; quella, in altri termini, di cui ci si accorge facilmente. Che sia solo una strategia fine a se stessa oppure dedicata ai social, o al riconoscimento tra pari, è un ragionevole dubbio. Tuttavia, bisogna anche ammettere che alternative altrettanto eclatanti non ce ne sono. O perlomeno non ancora. Perché, in fin dei conti, qualche concessione in più a queste nuove generazioni è anche giusto farla.

Ne vengono in mente almeno due. La prima è quella di istituzionalizzare le autogestioni, un esperimento già svolto in passato e che ha portato anche a comportamenti responsabili. La seconda è quella, simbolica e di forte impatto, del voto a sedici anni. È giusto opporsi a opere distruttrici ma è anche corretto provare a offrire alternative, meglio se sfidanti e ambiziose. La scuola deve essere un luogo di crescita culturale ma anche personale e sociale. Inserire l’acquisizione di un diritto politico così importante durante gli anni del percorso scolastico potrebbe aumentare il valore di questo atto. E restituire la dignità dovuta anche alla scuola: un luogo fisico, certo, ma anche una comunità di persone necessaria al benessere della società.

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