Lì no, ma subito s’è aperta la caccia al campo da tennis dove il Papa potrebbe di nuovo dedicarsi a una delle sue attività sportive preferite, che per l’appunto è, dicono, il tennis: ce n’è uno in terra rossa proprio lì, dai suoi agostiniani. Lo frequentava, raccontano, da cardinale. Da vescovo andava anche a cavallo, lunghe cavalcate laggiù in Perù, nella “cara diocesi di Chiclayo” come la ha definita. Da ragazzo e da sacerdote andava probabilmente al Comiskey Park, che fino al 1990 è stato lo stadio di casa dei White Sox, la squadra americana della Major League per la quale tifava mentre in casa erano tutti per i Chicago Cubs, ma capita un ribelle romanista in una tana di laziali.
Romanista, già: appena la fumata bianca ha scacciato il gabbiano più televisto del mondo dal comignolo, s’è scatenata un’altra ricerca: per chi tifa il Papa? Di Francesco si sapeva tutto, perfino il suo numero di tessera di socio, la numero 88235, della squadra di calcio del San Lorenzo de Almagro, del quale era “siempre cuervo”, come si chiamano i tifosi di quella squadra. Subito lo “spiffero”: il nuovo Papa è romanista. L’ha confermato un suo sodale e l’ha sottolineato un “Forza Roma” che qualcuno ha udito provenire da un finestrino abbassato dell’auto sul quale Papa Leone era andato a fare un giro per Roma e dintorni, alla Madre del Buon Consiglio a Genazzano e poi a Santa Maria Maggiore, dov’è sepolto Francesco.
Non avrà la tessera né del socio né del tifoso romanista Papa Prevost (però quella della Federtennis gliel’hanno data ad honorem) ma del resto è americano del Nord, mica del calciofilo Sud come Bergoglio, però l’interesse per lo sport è evidente e innegabile, fin da quell’autografo messo su di una pallina da baseball al primo incontro con la stampa nonché da quell’udienza della racchetta concessa a Sinner. Poi è venuta quella al Napoli fresco di scudetto e chissà che l’incontro non sia stato anche la benedizione alla rinnovata concordia al vertice. E’ venuto il raccontino delle sue abitudini da gentile frequentatore di palestra, che entrava, salutava, seguiva il programma e neppure sapevano chi fosse. E’ venuta, appena ieri, quella colorata festa di partenza dell’ultima tappa del Giro, parole da uomo di pace e di sport (le due cose da sempre vanno, o dovrebbero andare, di pari passo), due frasi certo non di circostanza scambiate con il colombiano Quintana, che forse avranno parlato delle cose di laggiù.
Certo questa immediata e frequente volontà di vicinanza con lo sport, e dunque con i fenomeni della società più giovane e moderna, non è solo la concessione a una umana passione: è anche il simbolo di un interesse non di maniera. E poi, tra Vance e Sinner chi sceglieremmo per parlarci? E adesso il “Golden Gala”, il “Sette Colli”, chissà, un Papa Olimpico per un domani olimpico…
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