Ieri, sono entrati in vigore con efficacia dal 7 agosto i dazi stabiliti dall'amministrazione Trump. La sopravvenuta l'intesa scozzese che si potrebbe ritenere un pre - accordo tra Unione e Usa, benché da varie parti, in Europa, contestata per diversi aspetti, è comunque largamente incompleta, non ha un cogente valore giuridico, rimanendo per ora un testo non trasparente.Su di esso si è innestata la decisione, che resta sostanzialmente unilaterale, dell'amministrazione Trump.La reazione non positiva delle Borse era scontata. Intanto, nel versante dell'altra componente, accanto a questi ultimi, che avrebbe reso più dura la perdita per le esportazioni europee e, in particolare italiane, in America, cioè il dollaro molto debole nel rapporti con l'euro, si osservano segni di ripresa del biglietto verde, principalmente dovuti a un calo dell'euro per le preoccupazioni che l'intesa di Scozia suscita per l'economia e per la finanza pubblica. I tassi d'interesse di riferimento americani , la cui riduzione era prevista da solo pochi osservatori, sono rimasti fermi 4,25 - 4.50 per cento) come deciso dal Comitato monetario della Federal Reserve mercoledì scorso.
L'abbassamento avrebbe inciso ulteriormente sulla debolezza del dollaro. La decisione ha registrato il voto contrario di due componenti il Comitato, favorevoli, invece, a un taglio dei tassi sia pure di 25 punti base: un contrasto che trova un precedente solo nel 1993. Il presidente della Fed, Jerome Powell, ha dato una prova di autonomia dell'istituzione - mentre Trump continuava a sollecitare tagli - ma lo ha fatto non astrattamente, bensì argomentando con l'abbastanza alta inflazione, con la possibilità di diffusione e prolungamento degli effetti inflattivi dei dazi, con il buon livello dell'occupazione e con la qualificazione della politica monetaria adottata come moderatamente restrittiva a fronte di un'economia in soltanto modesta espansione. Powell ha giustamente sottolineato come l'indipendenza di una Banca centrale - e si tratta della prima al mondo - sia un bene per il Paese, mentre Trump continuava a contestargli, peraltro senza motivazioni tecniche adeguate, di arrivare sempre troppo tardi. Insomma, il presidente della Fed ha dimostrato di essere un "hombre vertical". Naturalmente, un'evoluzione del quadro macroeconomico già a settembre porterebbe a un taglio dei tassi che non sarebbe scartato solo perchè potrebbe piacere a Trump, agendo Powell sulla base dei dati e delle prospettive dell'inflazione e guardando innanzitutto, come stabilito dal duplice mandato per la Fed, all'occupazione e alla crescita.
L'"accountability", la necessità di render conto che si richiede al banchiere centrale, è una componente cruciale della sua azione. Essa richiede anche una estesa informazione sugli orientamenti "pro futuro" che è bene venga meglio soddisfatta. Ma, guardando all'Europa, la leva monetaria si affianca, tra l'altro, alla politica commerciale. Un allentamento monetario per attutire gli impatti negativi dei dazi da solo non regge, costituendo una impropria supplenza da parte della Banca centrale che ricorda le svalutazioni, ai tempi, della lira per recuperare forza competitiva che poi avevano altri ben corposi contro-effetti, a cominciare dall'inflazione. Altra cosa sarebbe, invece, prevedere un raccordo tra politiche economiche, politica monetaria, posizioni delle parti sociali. Un patto per l'Europa non per inseguire "ristori" delle penalizzazioni delle tariffe - altra cosa sono gli aiuti che facciano parte di un programma - ma per la produttività, l'innovazione, la capacità di competere, la politica industriale. Spazi per discutere ancora sull'intesa scozzese ve ne sono, apparendo essa quasi un testo di principi. Ma non bisogna illudersi di poterla modificare in maniera radicale. Essa è figlia delle "condizioni date", ma queste sono, a loro volta, il frutto delle divisioni all'interno dell'Unione, dell'incapacità di cogliere il vento nuovo, dell'inconsapevolezza della forza potenziale dell'Europa, accanto alla prova di inadeguatezza nella negoziazione offerta da Ursula von der Leyen. Si dovrebbe partire da questo livello molto basso - "ex malo bonum" - per una "conversione", cominciando con l'affrontare l'insieme di riforme strutturali finora declamate, in primis il mercato unico del risparmio e degli investimenti. Avere avviato una trattativa precludendosi la trattazione dei rapporti con gli Usa in materia finanziaria e di fintech e tenuta lontana l'arma delle "misure anticoercizione" è stato un prepararsi alla vittoria di Trump che trasferisce nella sua alta funzione le tecniche negoziali dell'ex immobiliarista. Sarebbe difficile riproporre la sperimentata coesione anti-covid. Ma quelle scelte dovrebbero almeno ispirare le iniziative oggi necessarie. Se non ci si scuote, se non si apre una fase nuova per rispondere a quella trumpiana, il declino dell'Unione rischia di essere inarrestabile.

Angelo De Mattia
L'analisi/L’era dei dazi e la necessità di un patto per l’Europa
di Angelo De Mattia
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sabato 2 agosto 2025, 00:21

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