Vittorio E. Parsi
Vittorio E. Parsi

L'analisi / L’avanzata russa che l’Occidente non può accettare

di Vittorio E. Parsi
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Sabato 25 Giugno 2022, 00:06

Gli ucraini sono sempre più consapevoli che la guerra sarà ancora lunga e che la difesa a oltranza di ogni singola spanna di terreno non è sempre, militarmente parlando, la tattica migliore. 
Così gli ucraini hanno deciso di ritirare i loro 1500 combattenti da Severodonetsk, rifiutandosi di trasformare in martiri i valorosi difensori dell’impianto chimico Azot, al centro della città. Una nuova Mariupol non avrebbe, ora, alcun senso. Quelle truppe saranno più utili altrove.
La guerra di attrito sta costando perdite gigantesche alla Russia, ma anche all’Ucraina, che appare più fiduciosa nel sostegno materiale e politico dei Paesi Nato e Ue. Questo è successo anche grazie al sacrificio di difensori dell’acciaieria Azovstal, che hanno costretto l’Occidente a prendere maggiormente sul serio lo spirito combattivo dell’Ucraina.
Le armi tante volte promesse hanno cominciato ad arrivare e a poter essere impiegate. Richiederà tempo imparare ad utilizzare quelle più sofisticate, ma sul campo di battaglia potrebbero fare la differenza, rendendo molto più complicato per Mosca lo scatenamento di quell’uragano di fuoco di artiglieria che, finora, è stato difficile arginare. Ma per guadagnare tempo occorre innanzitutto salvare il maggior numero di truppe, altrimenti chi potrà azionare i nuovi sistemi d’arma?
Il prossimo vertice Nato di Madrid dovrebbe fornire ulteriori garanzie sul piano dei rifornimenti. Ma già dalle settimane scorse è apparso chiaro che nessun Paese occidentale sarà mai disposto a riconoscere le occupazioni russe: né ora né mai. 
Questo se da un lato allontana la prospettiva di un cessate il fuoco, dall’altro ne definisce i contorni realistici: in nessun caso potrà partire da una qualunque forma di accettazione (nemmeno provvisoria) della situazione sul campo.
Nel frattempo è significativo che Mosca alzi il tiro delle sue sparate propagandistiche, tornando ad evocare il rischio di una guerra frontale contro la Nato, a causa della semplice rigorosa applicazione della sanzioni decise in ambito Ue da parte della Lituania. Le argomentazioni giuridiche avanzate da Mosca - la Nato dovrebbe “espellere” la repubblica baltica dall’Alleanza, perché l’intera sua superficie costituirebbe un “territorio conteso”, in quanto la Russia potrebbe apprestarsi a disconoscerne l’indipendenza (sic) - sono grottesche e ricordano in maniera raccapricciante quelle utilizzate dalla Germania nazista e dall’Unione sovietica di Stalin. 
Soprattutto provano a fornire nuovi “argomenti” ai più o meno consapevoli sostenitori della propaganda di Putin. La tecnica del regime putiniano, peraltro, si mostra sempre più ripetitiva: esibizione di mega-intese a livello planetario in grado di rimpiazzare “l’egemonia americana”, “il ruolo del dollaro”, “l’imperialismo occidentale” e al contempo formulazione di minacce mirate verso chi si ritiene costituire l’anello debole della catena della solidarietà democratica all’Ucraina. 
Prima la Svezia e la Finlandia (al momento della presentazione della richiesta di adesione alla Nato), poi l’Italia (con l’esibizione di muscoli al largo delle coste pugliesi, peraltro sempre sotto l’attento controllo della nostra Marina militare), ora con la Lituania. Putin si guarda sempre molto bene dall’avanzare minacce dirette agli Stati Uniti (ma non erano loro «i grandi burattinai dell’aggressione alla Russia»?).
Mosca bluffa.

Ma il suo bluff non funziona. Dai baltici ai lituani, dagli inglesi agli italiani, il senso delle dichiarazioni è sempre lo stesso, anche se i toni possono cambiare: una vittoria di Putin renderebbe la stessa Europa, nel cuore dell’Occidente, un posto non più sicuro per le democrazie. Occorre fermarlo, affinché siano ripristinate le condizioni che hanno reso possibile la pace e la democrazia nel continente che aveva avuto - da sempre - il peggior record di conflittualità internazionale. Ne va della nostra sopravvivenza, oltre che di quella del popolo ucraino.

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