Paolo Pombeni
Paolo Pombeni

Verso le urne/ Gli effetti decisivi della scelta degli elettori

di Paolo Pombeni
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Venerdì 22 Luglio 2022, 00:01

Più che continuare a speculare sulle responsabilità per la fine, davvero poco gloriosa, di questa legislatura, converrebbe ragionare su come uscire dalla palude in cui siamo finiti. 
Come è andata è abbastanza chiaro e lo spettacolo di partiti che cercano ciascuno di scaricare sull’altro, o addirittura su Draghi, la “colpa” di quel che è successo è mortificante: per dirla con una battuta, richiama la storiella del bue che dava del cornuto all’asino. 

Adesso il problema è capire se il governo Draghi che rimane in carica per il disbrigo degli affari correnti può essere in grado di evitare che i due mesi di campagna elettorale e il tempo che ci vorrà per avviare la nuova legislatura si risolvano in un disastro per la gestione delle varie emergenze e problematiche che avremo davanti. 
Il contesto legislativo è relativamente vago nel fissare cosa si possa considerare come disbrigo di affari correnti e anche nel determinare i poteri a cui può far ricorso il governo in questa posizione. Per toccare due aspetti delicati: portare a conclusione iter legislativi e parlamentari già ben avviati rientra in questa fattispecie? Il governo può ricorrere a decreti legge, ma sulla loro conversione non può poi porre la questione di fiducia e ciò significa correre sempre il rischio di normative che devono essere rispettate per massimo 60 giorni, ma se poi decadono sotto i colpi del parlamento che succede di quel che è avvenuto? Come si può immaginare sarebbero problemi risolvibili in un quadro politico di partiti responsabili che comprendono la delicatezza del contesto, interno e internazionale, e che di conseguenza ponderano le conseguenze dei comportamenti. 
Per esempio c’è in campo la questione di portare a buon fine quelle normative che sono richieste per poter continuare a fruire dei finanziamenti europei e quindi del versamento della prossima rata. Altrettanto potrebbero presentarsi esigenze di governo di fasi critiche della pandemia che richiedano l’adozione di decreti legge specifici. 


Ora non occorre una particolare fantasia per immaginare cosa avverrebbe in questo caso, ricordando le infinite polemiche che ci sono state in passato fra le forze politiche proprio su questi terreni.
Abbiamo già avuto prova di cosa possa comportare una infantile eccitazione per le supposte grandi occasioni di conquista di consensi elettorali seguendo le spinte che arrivano dalla giungla di interessi corporativi che non vogliono arrendersi alla necessità di mettere ordine nel nostro sistema. Draghi lo ha ricordato senza troppi giri di parole ed è stato sufficiente perché questo divenisse per certe forze politiche un alibi per chiedere dalla riparazione di immaginate umiliazioni all’avvio di una discontinuità senza neppure un briciolo di orizzonte programmatico.
Naturalmente si potrebbe sperare che a contenere queste derive bastasse il richiamo al fatto che costruire un cumulo di macerie non è nell’interesse di chiunque possa immaginare di vincere le prossime elezioni. 
In verità dovrebbe essere sufficiente dire che mandare all’aria tutto quel che si è costruito e che si sta lavorando a costruire non è nell’interesse degli italiani, ma siamo ormai all’assurdo per cui troppi partiti pretendono di essere loro gli unici titolati a dire quale sia quell’interesse fino ad interpretare il richiamo del premier a considerare le sollecitazioni che gli vengono dal Paese come uno schiaffo alla rappresentatività del parlamento e una richiesta di pieni poteri.


Qualsiasi analisi della congiuntura presente ci avverte che non c’è spazio per le fughe nella demagogia, quale che ne sia il colore. L’Italia ha bisogno di stare in una posizione rispettata nel contesto di quel mondo occidentale che ormai è sfidato da un altro campo, di poter contare in Europa senza il sospetto di essere tornata il paese di Pulcinella, di poter affrontare i nodi che vari fattori scaricheranno sul nostro equilibrio sociale senza essere schiavi delle mille bandierine che la nostra politica ha ereditato dalla retorica dell’ultimo sessantennio.
Per paradossale che possa sembrare, si potrà forse contare proprio su quel rinvio al giudizio popolare che secondo i demagoghi dovrebbe andare a loro vantaggio, ma che invece potrà costringere la gente a scegliere, di fronte ad un tornante complesso, fra l’oppio delle soluzioni mirabolanti e la fiducia in un lavoro razionale di ricostruzione del nostro Paese. Per quanto si siano sollevati sopraccigli snob sulla credibilità dell’ampio sostegno che è venuto a Draghi da tanti quadranti del nostro sistema sociale ed istituzionale, non è bene sottovalutare questa novità. 
Se questa mobilitazione sostanziale, che non ha bisogno di proclami e sceneggiate perché ha canali più efficaci per farsi sentire, continuerà potremmo avere due risultati importanti. Il primo è un sostegno al governo Draghi per gli affari correnti, che gli consenta di lavorare al massimo possibile nella continuazione del suo lavoro: da non sottovalutare perché come già detto il parlamento rimarrà quello di questi giorni poco gloriosi e nel governo continueranno a convivere ministri e sottosegretari di diversa provenienza. 
Il secondo è costringere il più possibile le forze politiche ad una campagna elettorale che presenti programmi e interventi concreti fra cui scegliere anziché bandierine demagogiche con cui sfruttare un certo spaesamento della nostra società.

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