Mario Ajello
​Mario Ajello

Verso la ripresa/ La spinta degli italiani che il Colle si aspetta

di ​Mario Ajello
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Martedì 2 Gennaio 2024, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 00:31

Non è stato né un messaggio generico né un messaggio elusivo. Tutt’altro. S’è trattato di una profonda iniezione di energia. E’ uno dei suoi discorsi più importanti quello pronunciato dal presidente Mattarella l’altra sera. Politicissimo, nel senso della politica vera, quella che incide sul benessere della nazione e sulla sua direzione e non si fa distrarre da dispute propagandistiche e infruttuose, è l’invito che contiene. Rivolto, con lucida e composta severità, sia ai cittadini sia a chi li rappresenta in sede istituzionale, parlamentare e di governo e animato da una richiesta di sforzo da parte di tutti a ricucire la distanza che si è andata formando tra il cosiddetto Paese legale e il cosiddetto Paese reale. Mattarella il Ricucitore non vuole essere solo in questo compito, dal cui esito deriva la salute della nostra democrazia, lo standing dell’Italia e la possibilità di competere sullo scenario internazionale come Sistema Paese. 

«La forza della Repubblica è la sua unità», afferma Mattarella. Unità significa coesione, che si forma attraverso il dialogo, il confronto e anzitutto l’ascolto (e non tramite il comando o l’influenza da parte dei «gestori dell’intelligenza artificiale e di potere», attraverso i social e altre forme di arcaismo travestite da presunta modernità), che crea concentrazione sulle questioni vere di pubblico interesse e che poi si traduce in decisione e in azione. E’ un modo di vedere così spiazzante rispetto ai canoni della politica attuale  e ciò fa di Mattarella una figura capace di guardare molto al di là del presente e del presentismo e che cerca di dare, ai cittadini bisognosi di fatti, coordinate nuove e un vero e proprio programma per l’Italia, nelle quali il “basso” e l’“alto” si riconoscono e si riconnettono. Alla popolazione lui chiede però di scrollarsi di dosso, attivandosi, votando, partecipando, incalzando, liberandosi dalla rassegnazione e addirittura dall’indifferenza, una mobilitazione che la rimetta in campo, la rimotivi, la renda di nuovo protagonista - come nelle migliori stagioni della nostra storia - dei destini collettivi. 

Con il suo stile mai irruento e assolutamente non divisivo (guarda caso non ci sono accenni alla riforma costituzionale del premierato, alla legge sull’autonomia, al Mes), ha dato però uno scrollone Mattarella a noi tutti. Quando dice «è il voto libero che decide, non rispondere a un sondaggio o stare sui social», non sta affatto sprofondando nell’antiquariato. Sta dicendo, guardando avanti, che il primato dell’opinione male informata distrugge l’energia reale di una nazione. Che è quella a cui il Capo dello Stato tiene di più. E che cerca di infondere negli italiani nei suoi giri sui territori (e ne fa di continuo), quando viene a contatto con i giovani (sono loro il suo punto di riferimento massimo e la sua speranza probabilmente ben riposta), ogni qualvolta si rivolge alle forze politiche per spingere a guardare la realtà per quello che è invece di dilaniarsi in contese autoreferenziali con il rischio che la gente cambi canale. La preoccupazione di Mattarella per l’astensionismo è del tutto condivisibile e anche il nostro giornale ne ha fatto da tempo una sua battaglia identitaria. 

Secondo Montesquieu, il peggior rischio per una democrazia è l’apatia dei cittadini. E’ a questo tipo di liberalismo delle origini, cioè del futuro, che fa riferimento Mattarella.

E anche alla lezione manzoniana secondo la quale «il buon senso c’era - come diceva l’autore dei Promessi sposi ma anche della Colonna infame, insuperabile atto d’amore per la giustizia giusta e per la buona convivenza civile - ma se ne stava nascosto per paura del senso comune». Quello, appunto, che oggi vive di divisioni da web, di tifoseria che è odiocrazia, di demagogie e di semplificazioni in cerca di like, di tutto ciò che è il contrario del contributo consapevole e creativo alla vita democratica e al suo sviluppo che non può esistere se s’impongono nel discorso pubblico e nell’agone politico i settarismi e i particolarismi.

Mattarella il Ricucitore ha colto insomma l’essenza del problema italiano: che è quello del sapersi intendere e del provare a fidarsi tra cittadini e istituzioni. In questo sta il patriottismo e non c’è affermazione, economica, politica, europea, mondiale, dell’Italia senza un patriottismo così vissuto concepito e praticato. Riattivarsi come comunità nazionale sulle questioni fondanti - il lavoro, i femminicidi, gli investimenti, il diritto alla salute, le politiche per i giovani - è l’essenza di una rinascita su basi solide e condivise. Alla luce di questo Mattarella non poteva e non ha voluto infilarsi nelle dispute di Palazzo. 

E in questo discorso - che è il nono della sua esperienza sul Colle ma il primo in presenza di un governo politico prodotto con chiarezza dal responso elettorale e non nato da accordi parlamentari - non va giudicato come un espediente evasivo la scelta di non parlare dei temi politici divisivi ma come una forma di estremo rispetto delle scelte dei cittadini nel voto del settembre 2022 e del mandato che hanno consegnato a chi oggi governa. Ed è questo un discorso di un presidente che conosce dal vivo e con sensibilità particolare l’Italia per quel che è oggi e per quel che è sempre stata nei suoi momenti meno fulgidi: una nazione che non fa squadra.
Rientra in questo ragionamento, dell’inclusività più partecipazione più coesione uguale forza, il richiamo all’Italia a stare tutta insieme dentro il quadro dell’Europa rispetto ai conflitti in corso. Cioè a non farsi attraversare dalla tentazione, comune ad altri Paesi, di disinteressarsi dell’Ucraina e di voler arrivare a una pace purchessia perché converrebbe, chissà perché, a tutti. E anche su questo Mattarella è molto netto. Cerca di smascherare il pacifismo arrendevole, il buonismo al servizio dell’aggressore, la fuga dalle responsabilità in nome di una pace intesa come indifferenza rispetto a ciò che accade e che potrebbe accadere se si cede sul principio che la guerra è legittima. 

Qui non c’è l’occidentalismo acritico di Mattarella, che molti a torto gli rimproverano dal tempo della guerra in Kosovo quando era ministro della Difesa. Si avverte viceversa il rigore di uno statista con la schiena dritta che si aspetta dal proprio Paese, sia a livello politico-parlamentare, che sul piano della coscienza pubblica una postura da nazione che si rispetti e che si faccia rispettare nell’ambito internazionale. Indisponibile a scorciatoie e, appunto, pienamente consapevole e responsabile, consapevole che anche sul fronte esterno ci giochiamo la nostra dignità e la nostra capacità di sentirci e di risultare ben attrezzati ad ogni sfida.
 

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