Mario Ajello
Mario Ajello

Il Congresso di FI/ Il futuro del partito che non voleva essere un partito

di Mario Ajello
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Venerdì 23 Febbraio 2024, 00:17

Comincia il congresso di Forza Italia, a cui guardano anche dall’estero il Ppe, von der Leyen e le cancellerie europee, perché la vocazione del partito di Antonio Tajani ha nella Ue il suo centro di gravità permanente, e queste assise sono un manuale di sopravvivenza e di neo politica già scritto e ben scritto. Già scritto prima che accada, visto che il congresso si svolge oggi e domani? Sì, perché sono state messe a punto con pazienza e spirito unitario, da parte di Tajani, che verrà eletto segretario, le coordinate del post berlusconismo e del partito che si propone - senza nostalgie e declinando le radici al futuro - di rappresentarlo.

Ovvero: una forza moderata e occidentalista, sostenitrice della libera economia di mercato, sviluppista e anti-ideologica per esempio sulle questioni del green (bene quando è compatibile con lo sviluppo e male quando è fondamentalismo blocca-tutto) o del nucleare, concretista e liberale. L’identikit, o almeno la vocazione, è quello di Forza Italia come un luogo di mediazione e di compromesso, in un contesto politico - qual è quello attuale - sempre più incapace di parlare e di parlarsi costruttivamente (il compromesso è costruzione di base). Come uno spazio che contrasta ogni deriva di rissosità e qualsiasi forma di estremismo. Come un partito non leggero o peggio leggerista, e non più monarchico-anarchico come al tempo del Cavaliere: anzi molto strutturato e democratico, partecipato, contendibile e scalabile e basato su un assunto di sistema. Quello secondo cui, e si spera sia finalmente chiaro questo punto, un Paese si governa soltanto con i partiti (populisti e anti-politici lo sappiano) che facciano i partiti (non le fazioni o le cordate): ossia organizzino il consenso e abbiano visione, programmi, rapporto con il territorio e con le categorie e cura dell’interesse generale. Pochi avrebbero immaginato in questo senso, e in tutti i sensi, la sopravvivenza di Forza Italia dopo la morte di Berlusconi, e invece, evidentemente, il Cavaliere ha seminato bene. Perfino dotando i successori degli strumenti per andare oltre la sua esperienza e oltre il suo carisma a suo modo regale che pareva l’inizio e la fine di tutto (dopo di me il diluvio). 

È quasi incredibile e paradossale che il partito che doveva eliminare la forma partito classica e tradizionale da Prima Repubblica, inaugurare il nuovismo, far trionfare le personalizzazione e la mediatizzazione della politica, ridurre tutto a liderismo e a una concezione iper-semplificata del gioco democratico e imporre come pensavano e strologavano gli osservatori meno acuti e più prevenuti lo strapotere insostituibile di uno solo, il padre di tutti i populisti, l’uomo nero anzi il Cavaliere Nero, si stia rivelando invece il laboratorio di una politica rinnovata (non preda di se stessa e di uno spirito distruttivo e irritante per la gente comune) che forse è quella che può riattivare la fiducia dei cittadini verso le istituzioni e ridurre il gap spaventoso che rischia di allargarsi nelle democrazie moderne tra il cosiddetto Paese reale e il cosiddetto Paese legale. 

Non si è fatto che ripetere per decenni, nella retorica giornalistica alimenta del resto dalla micidiale battuta berlusconiana sul quid, che re Silvio non avrebbe potuto mai avere un delfino.

Che fingeva di cercarlo ma non voleva trovarlo. Che l’unicità e la regalità di quella leadership non sarebbero state capaci di lasciare nulla. La narrazione diceva questo e non faceva che alimentare se stessa. Ma ecco poi che - sorpresa! - morto il Cavaliere si attiva subito a livello politico un fenomeno per cui, nel mondo che era stato berlusconiano, ci si rende conto che i delfini sono tanti, sono tutti quelli che vogliono esserlo, e l’intelligenza di Tajani si sta rivelando proprio questa: di assecondare e di guidare, nella maniera a lui caratterialmente e politicamente più congeniale, ossia senza forzature, un processo virtuoso dentro un mondo, quello della politica italiana, che nella sua smania autoreferenziale perde spesso il contatto con il buon senso. 

La rivoluzione liberale promessa da Berlusconi purtroppo non si è fatta, perché l’Italia è l’Italia. Ma dopo Berlusconi sembra essersi attivato qualcosa che da lui deriva. Si tratta appunto di questa capacità visionaria ma pragmatica di immaginare la politica non come un’arena ma come una palestra. Il congresso-palestra è quello che si apre in queste ore e anche la sinistra che ha sempre odiato Berlusconi sembra aver capito che il suo lascito non è banale. Un monarca che crea le condizioni culturali, in quello che era il suo regno, per guardare avanti e per rinnovarsi senza rinnegare, anzi coltivando la memoria, rappresenta ciò che di cui hanno bisogno i partiti e le nazioni per rafforzarsi: il rinnovamento nella continuità. 
Fa davvero impressione come la sinistra, e quei i media che hanno sempre fatto riferimento a quella parte politica, si stiano approcciando alla nuova Forza Italia. Erano pronti a celebrare il cadavere di una storia (brutta ai loro occhi) ma non ci riescono. Lo spiazzamento dell’Italia anti-berlusconiana nel post berlusconismo ha qualcosa di notevole e va registrato. Racconta dell’ammissione, a denti stretti ma vabbé, che dopo la morte del fondatore Forza Italia non si è liquefatta ma regge anche con l’apporto della famiglia Berlusconi. In questa ottica forse ci starebbe bene, ma purtroppo non ci sarà, perfino la partecipazione di Elly Schlein all’evento azzurro. 

Di fatto, il partito azzurro che va a congresso occupa uno spazio importante che è quello di mezzo, ed è nel mezzo (se non si ha la pretesa dell’autosufficienza, e Tajani è troppo accorto per cadere in questa ingenuità) che si possono fare le cose. La metamorfosi azzurra contiene dunque un’apertura al futuro ma concepisce il senso della continuità. In questo la lezione berlusconiana c’è tutta. E parafrasando una formula proverbiale verrebbe da dire, mentre una comunità politica decide il suo segretario, i vice-segretari e anima un confronto tra mille delegati, infinite istanze, decine di mozioni e innumerevoli discussioni né false né sanguinose: la vecchia talpa Berlusconi ha ben scavato.
 

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