Commercio in crisi, chiudono 111mila negozi: aprono solo gli stranieri

Confcommercio: tra il 2012 e il 2023 ridotti di un terzo i venditori ambulanti

Commercio in crisi, chiudono 111mila negozi: aprono solo gli stranieri
di Francesco Pacifico
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Venerdì 9 Febbraio 2024, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 08:00

Il boom dell’e-commerce - il giro d’affari ormai supera i 54 miliardi di euro - non ha certamente aiutato le botteghe tradizionali. E non è stato minore l’effetto (negativo) dato dalla “desertificazione” dei centri storici, sempre meno popolati e sempre più “preda” dei turisti.

L’ultimo decennio per il mondo del commercio è stato tragico: Confcommercio ha calcolato assieme al Centro studi Tagliacarne che tra il 2012 e il 2023 hanno chiuso oltre 111mila negozi, quelli che un tempo venivano chiamati di “vicinato”. Circa 8 mila soltanto nell’ultimo anno. Questa tendenza al ribasso ha coinvolto anche il commercio ambulante: sempre nello stesso lasso di tempo è calato di 24mila unità il totale dei venditori per strada o nei mercati.

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Nel 2012 i negozi al dettaglio erano 551.317, adesso sono 439.805: quindi ha abbassato la saracinesca una bottega su cinque.

Percentuale più bassa per sintetizzare la crisi degli ambulanti: sono calati di un terzo le licenze attive. Stabili invece i livelli occupazionali, a riprova che questo mondo ha sempre meno dimensioni familiari: i dipendenti erano 22.556 nel 2012, sono adesso 23.503.


Paradossalmente questo pezzo di terziario ha retto con più facilità durante gli anni del Covid, dove il calo è stato del 6,7 per cento e grazie ai «sostegni alle imprese che hanno ridotto lì per lì la mortalità e che purtroppo sta ora emergendo. Fino a metà del 2022 la perdita di alimentari nei centri storici rispetto al 2012 era contenuta al 7 per cento, ora nel 2023 arriva al 12,5 per cento, un dato piuttosto significativo». Da qui il rischio che se la situazione «dovesse peggiorare, anche gli alimentari finirebbero nei negozi che stanno scomparendo dai nostri centri storici».


IN CONTROTENDENZA
Per avere, però, una completa fotografia del settore vanno aggiunti due elementi ancora più emblematici. Intanto, e sempre restando al terziario, nel decennio è salito soltanto il numero delle attività ricettive (9.801 in più). E proprio considerando nel novero anche alberghi, bar e ristoranti si scopre che le imprese possedute da italiani si sono ridotte dell’8,4 per cento. Mentre - di converso - è cresciuto il numero di attività registrate ad esercenti stranieri: +30,1 per cento tra il 2012 e il 2023. Al riguardo Confcommercio fa notare che su questo aspetto «va evidenziata, però, la dimensione occupazionale perché da questa passa anche un pezzo del valore sociale del terziario di mercato e del commercio in particolare: ormai la quota di occupati stranieri nei servizi di alloggio e nella ristorazione ha superato abbondantemente il 10 per cento e più della metà della nuova occupazione straniera è in questi nostri settori».


Guardando alle tendenze sulla «desertificazione» dei negozi, anche il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, ha sottolineato l’aspetto sociale della questione. E ricorda che è «un fenomeno che riguarda soprattutto i centri storici dove la riduzione dei livelli di servizio è acuita anche dalla perdita di commercio ambulante». Detto questo, il commercio rimane comunque vitale e reattivo e soprattutto mantiene il suo valore sociale». In quest’ottica, la soluzione passa innanzitutto per «progetti di riqualificazione urbana per mantenere servizi, vivibilità, sicurezza e attrattività delle nostre città. In questa direzione vanno il progetto Cities di Confcommercio e la rinnovata collaborazione con l’Anci a conferma del nostro impegno per favorire uno sviluppo urbano sostenibile e valorizzare il ruolo sociale ed economico delle attività di prossimità nelle città».
A livello territoriale è il Sud che sconta di più la crisi del commercio di vicinato rispetto al Centro-Nord. Soprattutto si abbassano più saracinesche nei centri storici che nelle periferie. Non a caso, a chiudere, sono i negozi molto tradizionali come librerie, ferramenta o abbigliamento. Danno maggiori segnali di vitalità le farmacie e tutto quanto legato all’hi-tech con computer e telefonia. Non a caso, nel rapporto la Confcommercio spiega che «la densità commerciale è passata da 12,9 negozi per mille abitanti a 10,9 (-15,3 per cento)».
Molti degli spazi lasciati liberi dai negozianti sono stati occupati da imprese della ricettività. Infatti hotel, bed&breakfast, bar e ristoranti hanno registrato in dieci anni l’aumento di 9.800 unità. «Anche se a questa crescita numerica - notano gli autori del rapporto - non corrisponde un’analoga crescita qualitativa dell’offerta di queste attività».


L’OPPORTUNITÀ
Sempre gli estensori del report, il centro studi di Confcommercio guidato dall’economista Mariano Bella e il Tagliacarne, però non vogliono demonizzare l’e-commerce. E spiegano che per superare la deserficazione, «per evitare gli effetti più gravi di questo fenomeno, il commercio di prossimità deve puntare su efficienza e produttività, anche attraverso l’innovazione e la ridefinizione dell’offerta. E resta fondamentale l’omnicanalità, ovvero l’utilizzo anche di un canale online ben funzionante (negli ultimi cinque anni gli acquisti di beni su Internet sono quasi raddoppiati passando da 17,9 miliardi del 2019 a 35 miliardi del 2023)». In sintesi, «la crescita dell’e-commerce è la maggiore responsabile della riduzione del numero di negozi ma resta comunque un’opportunità per il commercio “fisico” tradizionale».
 

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