Verso una manovra da 15-20 miliardi. Scatta l'allarme sui tagli di spesa

Verso una manovra da 15-20 miliardi. Scatta l'allarme sui tagli di spesa
di Andrea Bassi
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Venerdì 26 Settembre 2014, 00:25 - Ultimo aggiornamento: 13:39
​L’ultimo vertice c’ stato ieri mattina. Di buon ora, alle otto, il ministro Pier Carlo Padoan ha convocato tutti i suoi vice, compreso Giovanni Legnini, che ha approfittato dell’incontro per congedarsi dal ministero e salutare i suoi ormai ex colleghi in vista del passaggio al Consiglio superiore della Magistratura. Ma il brindisi è durato poco. Sul tavolo ci sono problemi urgenti da affrontare.



Il piatto dei 20 miliardi della manovra chiesta da Matteo Renzi piange. In questi giorni al Tesoro è una girandola di incontri tecnici con i rappresentanti di tutti i ministeri per fare il punto sui tagli di spesa con la ormai famosa regole del 3 per cento. Il risultato, al momento, sarebbe distante dagli obiettivi annunciati. La «self spending review» non supererebbe per ora il miliardo e mezzo di euro, se di tiene conto solo dei bilanci escludendo i fondi gestiti dai ministeri stessi, come per esempio quello della Sanità in carico alla Salute. «Stiamo cercando di cavare il sangue dalle rape», spiega una fonte che lavora al dossier. Il punto è che in molti dicasteri, dopo i tagli lineari dell’epoca tremontiana, il 90 per cento delle spese riguarda il personale. Senza tagliare stipendi o dipendenti è difficile ottenere risparmi significativi. Anche sui beni e servizi, voce dalla quale il governo si aspetta risparmi per 7 miliardi, emergono dei dubbi.



Costi standard e centralizzazione degli acquisti tramite la Consip, possono anche funzionare, ma hanno tempi medi per andare a regime. Bisogna attendere la scadenza dei contratti in essere e bandire le nuove gare. Se tutto va bene i primi risultati concreti rischiano di vedersi nel 2016. I soldi, invece, servono tutti-maledetti-e-subito. Questo perché il conto delle spese resta ancorato attorno ai 20 miliardi, anche se al Tesoro qualcuno spinge per abbassare l’asticella a 15. Sette miliardi sono necessari per confermare il bonus Irpef da 80 euro ai lavoratori. Altri 2,5-3 miliardi servono per allargare il taglio del cuneo alle imprese.



Quattro miliardi servono per finanziare le spese indifferibili: dalle missioni internazionali ai fondi per il trasporto. Un miliardo per allentare il patto di stabilità, un altro per assumere i precari della scuola, e un altro ancora per sbloccare parzialmente gli stipendi delle forze dell’ordine. Poi ci sono tre miliardi da trovare assolutamente per scongiurare il taglio lineare di tutte le agevolazioni fiscali utilizzato dal governo Letta come clausola di salvaguardia dei conti. In questo quadro è ormai certo che l’Italia chiederà all’Europa di non effettuare la correzione da 7,5 miliardi che il Fiscal compact imporrebbe per i Paesi con un debito elevato. Il Paese chiuderà il 2014 in recessione, con una decrescita dello 0,2-0,3% che sarà inserita nell’aggiornamento del Def. L’unico vincolo che sarà rispettato sarà quello del 3% tra deficit e Pil. Certo, bisognerà convincere Bruxelles e la Germania. Probabilmente anche per questo (si veda altro articolo in pagina) Padoan ha riservatamente incontrato il presidente della Commissione Jean Claude Junker. Ma bisognerà affrontare anche un altro passaggio che fino ad oggi è stato probabilmente sottovalutato: l’esame dell’ufficio parlamentare di bilancio. Giuseppe Pisauro, il presidente del neo organismo, ha chiarito in Parlamento come stanno le cose. I numeri che l’Italia presenterà nella legge di stabilità dovranno essere «bollinati» dall’ufficio di bilancio. Senza il bollino non potranno essere trasmessi a Bruxelles. Se potrebbero non esserci problemi sulla certificazione del quadro a legislazione vigente (i dati sono già stati trasmessi a Pisauro), qualche problema potrebbe sorgere per il quadro programmatico, quello che tiene conto delle misure di correzione della manovra. Pisauro, prima di mettere il timbro, ha bisogno di sapere come il governo intende correggere i conti, ossia sapere quante risorse arriveranno dalla spending e quante da nuove entrate. Se le cifre non saranno credibili la bocciatura, ancora prima di Bruxelles, potrebbe arrivare dal nuovo organismo di garanzia.
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