Attacco Iran a Israele, export e Pil in frenata se la guerra diventa lunga. Ma pochi rischi sui tassi

De Felice (Intesa Sanpaolo): «La Bce farà i tagli. La crisi indebolisce le industrie Ue»

Attacco Iran a Israele, export e Pil in frenata se la guerra diventa lunga. Ma pochi rischi sui tassi
di Francesco Pacifico
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Lunedì 15 Aprile 2024, 00:11

Almeno quattro miliardi di crescita in meno quest’anno, con un’ulteriore escalation della crisi mediorientale. Previdenti, e pochi giorni dopo l’attacco israeliano all’ambasciata di Teheran a Damasco, i tecnici del Tesoro hanno scritto nell’ultimo Def: nello scenario di «shock più severo», cioè «ipotizzando che le tensioni sul costo dei noli (legato al mancato passaggio delle navi per Suez, ndr) si mantengano per tutto il periodo aprile-dicembre 2024», «l’impatto complessivo sul Pil è pari al -0,2 per cento». Una stima che nasce in un quadro dove si mischierebbero - perché il condizionale è d’obbligo - l’aumento delle tariffe per la logistica marittima, gli impatti sui prezzi delle merci trasportate - compreso il 20 per cento del greggio mondiale che passa per il Mar Rosso - i rincari sull’inflazione fino al calo della capacità di spesa delle famiglie, con i relativi consumi. Senza dimenticare gli effetti sulle esportazioni. Il tutto in un anno, il 2024, dove l’Italia crescerebbe senza l’effetto di eventi straordinari appena dell’1 per cento.

 

CAUTELA

L'economista Gregorio De Felice, a capo dell'ufficio studi di Intesa Sanpaolo, invita tutti alla cautela. «Un attacco dell'Iran era atteso - spiega al Messaggero - come aveva anticipato nei giorni scorsi il Wall Street Journal.

E questo ha avuto ripercussioni sulle ultime quotazioni del petrolio. È prematuro fare stime sugli scenari peggiori, che non si sono ancora verificati: non sappiamo se il conflitto si estenderà, mentre tutti i Paesi si stanno adoperando su Israele per evitare un contrattacco». In caso di escalation, «potrebbe anche esserci una perdita sul Pil superiore allo 0,2. Ma è solo una stima».

Per capire il presente e il futuro, si deve partire dal petrolio: dal Medioriente verso l'Occidente passa attraverso lo Stretto di Hormuz circa il 20 per cento della produzione mondiale. Davide Tabarelli, economista e presidente di Nomisma energia, nota che «è da 40 anni che siamo abituati alle minacce dell'Iran e considerato che la stessa Teheran ha detto che con questo attacco la questione è conclusa, lo scenario più probabile è che oggi, il prezzo del petrolio scenda. I mercati internazionali infatti fino a venerdì avevano già scontato questo evento, con il ritorno del petrolio a 91 dollari al barile, ai massimi da settembre 2023». Invece, «il prezzo della benzina oggi lo vedremo in lieve aumento alla pompa, verso 1,93 euro, dopo essere stato intorno a 1,90 in questi giorni». Seguirebbero anche ritocchi all'insù per le bollette energetiche, «visto che l'Ue importa molto gas naturale liquefatto dal Medio Oriente», dopo la normalizzazione delle tariffe in atto.

Al riguardo, De Felice ricorda che «l’impatto delle tariffe dei noli ha un effetto contenuto sui prezzi delle merci trasportate» e che «l'Iran estrae al giorno 4 milioni di barile, il 4 per cento mondiale, e ne esporta un milione e mezzo. Però in questo momento il mercato è ben fornito, c'è offerta di greggio sufficiente rispetto alla domanda. E se l'area Opec controlla un terzo della produzione, Paesi come Stati Uniti, Brasile, Norvegia o altri non Opec possono aiutare a controbilanciare un’eventuale contrazione di Teheran». Se il conflitto si acuirà e si estenderà a tutto il Medioriente, «il prezzo del Brent potrebbe salire oltre i cento dollari, generando ulteriore inflazione. Ma è un’ipotesi».

In Italia e in Europa il carovita è in calo dopo gli anni post Covid all’insegna dei fortissimi rincari dell’energia e della componentistica. E adesso il tema è legato soprattutto ai futuri equilibri di politica monetaria. Neil Sharing, capoeconomista di Capital Economics, ha ipotizzato che l’attacco iraniano spingerà la Fed a rimandare l’allentamento annunciato. «In Europa - dice De Felice - non credo che la Bce cambierà la sua strategia di tagli ai tassi. A meno che non ci sia un’accelerazione dell’inflazione a sua volta scaturita da un’impennata del Brent superiore a quella che si può stimare in questo scenario».

Il capoeconomista di IntesaSanpaolo, invece, mette l’accento sulle ripercussioni all’economia reale che vedrebbero più penalizzata l’Europa rispetto agli Stati Uniti, essendo più dipendente dalle fonti energetiche. «Ne risentirebbero i settori più energivori (come la meccanica o metallurgia, ndr), quelli che trasformano le materie prime alimentari o utilizzano i chip semiconduttori provenienti dall’Asia». In questo contesto, il Vecchio continente «dovrà conquistare una sempre maggiore indipendenza nella produzione di strumentazioni necessarie alla transizione energetica, come le batterie. Per esempio gli Stati Uniti, da forti importatori di energia, con tutti gli investimenti realizzati negli ultimi anni ora esportano due milioni di barili del loro petrolio al giorno».

 

CONSEGNE

Rincari sui prezzi sono, quindi, molto probabili. Così come la necessità di dover bypassare il Capo di Buona Speranza per evitare il Mar Rosso, allungherà i tempi per farsi consegnare un’auto nuova al concessionario o reperire l’ultimo telefono cellulare alla moda. Parallelamente, si legge nel Def, «la domanda estera pesata in base agli scambi con l’Italia crescerebbe dell’1,4 per cento nel 2024 (anziché dell’1,9 per cento) e del 3,4 per cento nel 2025 (invece che del 4,4 per cento)». Anche per questo ieri il ministro per l’Industria e il Made Italy, Adolfo Urso, ha annunciato ad “Agora” che «da qualche settimana» è attiva una task force «insediata insieme al ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida» con la partecipazione della Farnesina.

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