Pronte per il viaggio? Mettetevi comode, attraverseremo gli anni.
Partiamo da Roma, 8 marzo 1972, Campo de’ Fiori: c’è anche Jane Fonda tra le 20mila scese in piazza, è la prima volta in Italia. «Tremate, tremate le streghe son tornate», «Io sono mia», si lotta per i diritti. Dieci anni dopo, a Comiso, dicembre 1982, si urla «no war», con le pacifiste che intrecciano fili di lana colorati e tessono una ragnatela per impedire l’ingresso all’aeroporto militare. Anni Novanta, «donne senza paura». E nel Duemila, per le ragazze il diritto da rivendicare è «essere te stessa». «Inclusione», la parola d’ordine del Venti, stop violenza, «insieme partite siam, insieme torneremo: non una di meno, non una di meno». E finiamo il nostro viaggio a Barbieland, dove la pensano così: «il patriarcato esiste ancora, ma oggi lo nascondiamo meglio». Nel 2023, l’anno della «kenergy», l’energia di Ken, la serena accettazione che il mondo appartiene a Barbie, almeno nel film di Greta Gerwig, da poco nelle sale, dove le bambole fanno gli uomini, comandano, decidono, e i Ken fanno le donne e guardano il mondo dai margini, come è stato da sempre per lei.
INCOMPRENSIONI
Un cammino lungo 50 anni, tra slogan e immagini, e adesso dove andiamo? Cosa desiderano oggi le ragazze degli anni Settanta, quelle dei Novanta e così via fino alla Generazione Z? Mai come ora le parole allontanano. Le boomerissime non capiscono le Millennials che non capiscono le Gen Z che non capiscono le une e le altre. «Le prime a indossare le minigonne, quelle nate negli anni Sessanta, sono convinte che la parità piena sia ancora da conquistare e non comprendono perché le nuove generazioni non lottino più per i diritti», Mariella Nocenzi insegna Sociologia, Innovazione e Inclusione di genere alla facoltà di Scienze Politiche della Sapienza di Roma. «Le Millennials hanno vissuto i benefici delle lotte precedenti, vorrebbero solo che quelle conquiste si consolidassero e si chiedono perché mai le giovani a tutto questo non ci pensino più. Ma le ragazze della Gen Z sono già oltre, mettono in discussione il binarismo, non si ritrovano nella divisione dei generi e nelle rivendicazioni delle mamme». Il loro sguardo di allarga, i diritti da difendere sono molti di più, «ogni lotta è la nostra». Oltre tante cose, queste ragazze. «La definiamo “generazione plural”, difficilmente collocabile, con tanti paradigmi». Il lavoro è «boh!», il successo è «puah!», l’amore è «pan», la famiglia è «queer» (banalizzando un po’). Ma il benessere è «wow», l’ambiente è «Dio», la realizzazione di sè (ma non come la intendono gli altri) è «top». I numeri tracciano il profilo di «una generazione che vuole vivere bene la propria vita», secondo la ricerca “BCW Age of Values 2023” che ha coinvolto 36mila giovani di 30 Paesi.
INCERTEZZA
Vivere per lavorare o lavorare per vivere? Comunque sia, fare di meno. Il lavoro perde posizioni e si piazza settimo nella top ten delle priorità, conferma ill sondaggio Swg per “Donna Moderna” che ha coinvolto mille italiane. Al primo posto e cura di sé, ma anche la bellezza resta in cima ai desideri. «Il lavoro per le giovani non è più uno strumento di realizzazione di sé o di emancipazione», la filosofa Maura Gancitano, con Andrea Colamedici, ha dedicato un libro a questo nuovo mood, “Ma chi me lo fa fare? Come il lavoro ci ha illuso: la fine dell’incantesimo” (HarperCollins editore). «Quel modello non funziona più, sta diventando una gabbia. Una ragazza della Gen Z o una ancora più giovane della Generazione Alpha si domanda se è quella che vita che vuole vedendo i sacrifici e il carico mentale sopportato dalle loro mamme e non le invidiano per niente». E dunque, il lavoro «non dà più senso alle giornate, è venuto meno il suo valore. Se ancora una Millennials poteva pensare che impegnandosi avrebbe ottenuto una serie di sicurezze, oggi il mondo è talmente cambiato che quella promessa non vale più. In cambio della fatica non è scontato che ci sia qualcosa». L’alternativa? «Al momento non c’è, il lavoro lascia un vuoto, e per un giovane è difficile capire cosa fare e credere in qualcosa che dia senso. Vivere in mancanza di copione espone questa generazione al rischio di isolamento e depressione». E non è detto che si riesca a godere del tempo libero in più, «pretendiamo comunque di essere efficienti e performanti, proiettiamo nella vita le stesse dinamiche dell’ufficio o dell’azienda». E allora? Nomadi, precari e scontenti? Per farcela, in questo viaggio senza mete, «bisogna fare largo all’azione comune, capire cosa ci dà senso e dargli spazio». Dai, ragazze, viaggiate nelle novità, improvvisate percorsi, lanciatevi in orbita (per le missioni su Marte preferiscono le donne). La bussola ora siete voi.