Benjamin Pech all'Opera di Roma: «Con la mia Bayadère la danza cambia passo. Scene create con l'iPad»

All'Opera di Roma, una nuova produzione di danza firmata dal coreografo Benjamin Pech: Bayadère dal 25 febbraio al 2 marzo. In scena Olga Smirnova, Victor Caixeta e Jacopo Tissi che hanno lasciato la Ressia dopo l'attacco all'Ucraina

Bayadère coreografie di Benjamin Pech, all'Opera di Roma dal 25 febbraio al 2 marzo
di Simona Antonucci
4 Minuti di Lettura
Venerdì 24 Febbraio 2023, 22:11

«Sono cresciuto accanto a Bayadère. Quando entrai all’Opéra di Parigi, giovanissimo, Nureyev stava montando questo spettacolo. Poco prima di morire. Talmente bello che venne ripreso per anni e io ebbi modo di interpretare tutti i ruoli. E così è arrivato il momento di dire la mia. L’ho rivisto, sveltito, approfondito. E ho riempito il palco di papaveri. Credo che a Nureyev sarebbe piaciuto».

 

Benjamin Pech, 48 anni, vice di Eleonora Abbagnato alla direzione del ballo, e autore del Lago dei Cigni, tra i titoli più venduti al Costanzi, presenta ora la sua nuova produzione all’Opera di Roma, Bayadère, dal 25 febbraio al 2 marzo. «Settanta danzatori in scena, più di 20 figuranti, e poi gli allievi e persino i macchinisti che diventano ombre.

Un ballettone così non l’avevo mai fatto».

Sul palco, un supercast: Olga Smirnova («la migliore Bayadère del momento») e Victor Caixeta, lei russa e lui brasiliano, entrambi approdati all’Het Nationale Ballet di Amsterdam, dopo aver lasciato la Russia in seguito all’attacco all’Ucraina, «una scelta obbligata, mi hanno spiegato, quando hanno capito che avrebbero perso la libertà». E poi Jacopo Tissi, anche lui rientrato in Italia all’inizio del conflitto, Maia Makhateli e le étoiles, primi ballerini, solisti e allievi. Sul podio, dirige le musiche di Minkus il maestro Kevin Rhodes. Una storia esotica, romanticona, tra promesse amorose tradite e gusto per il soprannaturale. Il guerriero Solor è innamorato della danzatrice del tempio Nikija. Ma a Solor viene offerta la mano di Gamzatti, la figlia del Rajah. Nikija muore. Solor, per dimenticare, fuma un veleno psichedelico e finisce nel regno delle ombre; ritrova l’amata Nikija e le giura fedeltà eterna. «Fuori tempo massimo», scherza Pech, «sul suo personaggio, non proprio esemplare, ho lavorato un bel po’».

E come è diventato il guerriero Solor?

«Sarà pure un guerriero, ma non è un eroe. È un opportunista. Si comporta da debole. Capirà poi di aver fatto la scelta sbagliata, ma soffrirà per il resto della sua vita».

Ancora un classico rivisitato: si diverte?

«Molto. Ho fatto un’operazione simile al Lago dei Cigni. Cominciando dalla musica. Tante riprese, sempre le stesse. Ho eliminato i tempi morti per cercare di imprimere un ritmo narrativo quasi cinematografico».

Un concentrato di emozioni?

«La gente non resiste più tre ore e mezzo. Via l’intervallo tra primo e secondo, perché non si può interrompere l’azione. Devi dare al pubblico la possibilità di entrare dentro. E poi tagli anche alla pantomima».

Spieghi cos’è la pantomima.

«È la parola della danza. Permette di esprimere qualcosa che non possiamo dire. Ma quando è ridondante ci si perde».

 

Per seguire meglio anche i sottotitoli?

«Certo. Ho inserito delle didascalie. All’inizio volevo sottotitolare tutta la pantomima, poi mi sono reso conto che toglieva attenzione. Quindi ho inserito dei riassunti ai cambi di scena. Gli spettatori vanno coinvolti, non tagliati fuori».

È questa la sua firma?

«Mi sento un “traghettatore” tra passato e futuro. Per tenere vivo questo repertorio, che adoro, bisogna ripensarlo. La struttura di Petipa resta, sì, ma il movimento e il ritmo vanno ricreati, non si danza più come un secolo fa».

La scena è rimasta in Oriente?

«Ignasi Monreal ha dipinto tutto con l’iPad e ai laboratori dei Cerchi hanno “tradotto” il suo stile. I costumi sono tutti recuperati dai nostri depositi e Anna Biagiotti li ha reinterpretati. Rendendo onore alla storia del nostro teatro».

Che atmosfera ricrea?

«Fantastica, un po’ barocca. Con delle sorprese. Quando Solor fuma il narghilè ho riempito il palco di papaveri: ne viene fuori un mondo surreale».

La scena delle ombre?

«Il mio omaggio ai tecnici e a tutte le persone che sono dietro le quinte. I macchinisti saranno in controluce e compariranno le loro silhouette: professionisti fondamentali che lavorano nell’ombra». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA