Pech: «Relazioni ambigue e gelosie nel mio Lago dei Cigni»

Il lago dei Cigni al Teatro dell'Opera di Roma: coreografia di Benjamin Pech
di Simona Antonucci
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Venerdì 28 Dicembre 2018, 16:39 - Ultimo aggiornamento: 20:16

«È una storia di uomini. Amicizia e tradimenti. Tra un principe e il suo amico d’infanzia, logorato dall’invidia e dalla gelosia». Le donne? Odile, Odette? «Senza di loro nulla avrebbe senso, anche se, in questo contesto sono pezzi di un puzzle».
 

 


Benjamin Pech presenta il suo “Lago dei Cigni” che da venerdì 28 dicembre al 6 gennaio accompagnerà il pubblico del Teatro dell’Opera di Roma per le feste natalizie. Una favola shakespeariana, con i fantasmi del compositore, Ciajkovskij, legati all’omosessualità, incentrata sulla relazione ambigua tra un ragazzo blasonato e conteso e il suo compagno, Benno, anima nera del capolavoro, spiega il coreografo francese, fino al 2016 braccio destro di Benjamin Millepied all’Opera di Parigi e da due anni primo maître del Costanzi e assistente della direttrice del Ballo Eleonora Abbagnato.

Nel suo Lago affiora una sorta di Iago, mentre “annega” il malefico mago Rothbart che scompare dalla scena.
«Ho voluto dare più spessore alla figura dell’amico manipolatore, sì, una sorta di Iago. E ho eliminato il Mago. Da un punto di vista drammaturgico, era il personaggio più debole».

Non è l’unico cambiamento: ci sono stati dei tagli musicali. Perché?
«Pochi minuti, ma fondamentali per mantenere alta la tensione. Ho tagliato qualche ripresa. Una scelta necessaria per conservare la concentrazione del pubblico. Ma soprattutto ho eliminato l’intervallo tra il terzo e il quarto atto. In quel momento il pathos è alle stelle. Interrompere tutto, sarebbe come mandare in onda uno spot pubblicitario poco prima di un delitto».

In questo balletto “al maschile” che uomo è il principe?
«Fragile. Manipolato dalla madre, da Benno e poi da Odile. È predestinato a prendere il potere, a trovare una sposa. Ma si innamora di un cigno. Omosessuale? Ambiguo. Forse vorrebbe sottrarsi al suo destino, ma non ce la fa».

I grandi capolavori del repertorio vanno reinterpretati per essere proposti oggi?
«Io vengo dal mondo classico e il mio approccio è quello di portare la mia modernità nel solco della tradizione. Bisogna conoscere bene da dove veniamo per capire dove andare. Ho lavorato sul movimento, la pantomima, ho smorzato l’enfasi del gesto. Oltre che sulla drammaturgia».

Roberto Bolle porta la danza classica in tv. Che ne pensa di questa scelta?
«La danza è un’arte piuttosto sconosciuta. Dalla tv a Instagram, ogni mezzo è fondamentale per arrivare al pubblico. Maurice Bejart ha portato le sue coreografie anche negli stadi».

E i talent aiutano?
«Non sono completamente d’accordo. Bisogna arrivare agli spettatori, ma in modo giusto». 

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