Vasco Brondi: «Ora faccio pop che guarda spesso a Conte e Battiato»

Il musicista presenta il suo album “Un segno di vita” oggi e domani a Largo Venue: «Ho seguito il richiamo della foresta, registrando in un rifugio di alta montagna»

Il cantautore Vasco Brondi, 40 anni
di Mattia Marzi
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Martedì 16 Aprile 2024, 06:15

A vent’anni cantava il disagio della provincia e della sua generazione, tra gigantesche insegne luminose dei supermercati a illuminare le strade secondarie e luci delle centrali elettriche (come quelle che ispirarono il nome d’arte con il quale ha pubblicato dischi per dieci anni, dagli esordi del 2007 fino al 2017): «I CCCP non ci sono più», si disperava Vasco Brondi nel 2007 ne La gigantesca scritta Coop, cantando la fine del sogno rock alternativo italiano e di tutto ciò che gli ruotava intorno. Diciassette anni dopo, i CCCP si sono riformati, dopo aver spergiurato che una reunion non sarebbe mai avvenuta. La provincia è più o meno sempre la stessa. Ma il Vasco Brondi di album come Canzoni da spiaggia deturpata o Per ora noi la chiameremo felicità, tra i dischi culto del cantautorato rock indipendente italiano degli Anni Duemiladieci, non abita più qui. Il 40enne cantautore ferrarese arriva a Roma per presentare questa sera e domani sul palco del Largo Venue il suo nuovo album Un segno di vita, il primo in tre anni: «In questi trentasei mesi ho disegnato labirinti visti dall’alto», racconta.

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Scusi?

«Mi sono spostato in giro per il mondo, senza fermarmi mai.

Lo canto in Fuori città, una delle canzoni contenute nell’album: ho seguito il richiamo della foresta. La metà delle canzoni del disco le ho registrate in alta montagna, nel rifugio del mio amico Paolo Cognetti in Valle d’Aosta, costruendo uno studio mobile a 2500 metri d’altezza».

Oltre alla Valle d’Aosta, dove è andato?

«Nel deserto del Sahara. E poi alle Canarie, dove trascorro la maggior parte dell’anno: Vista mare è nata lì».

In che modo questo girovagare ha ispirato le canzoni del nuovo disco?

«È un disco popolato da persone, alberi, laghi, vulcani. Ci sono le città ma anche le montagne, le cascate, le strade tortuose. E le letture che mi hanno accompagnato, da Roberto Bolaño a Pasolini, passando per Grazia Deledda e Amelia Rosselli. Ero così ispirato che oltre al disco ho scritto anche un libro, Piccolo manuale di pop impopolare, contenuto nelle edizioni limitate di vinile e cd: è una sorta di diario di bordo che raccoglie tutto quello che non è entrato nelle canzoni».

E musicalmente, invece, dove sta andando?

«Verso l’immediatezza. Ho tolto tante parole, accorciato le canzoni. Ho fatto la cosa più sperimentale che potessi fare: lavorare molto con la forma canzone, con i ritornelli, senza dilungarmi troppo con la durata delle canzoni, ma facendole rientrare nel minutaggio giusto per il pop. Ecco perché ho intitolato il libro Piccolo manuale di pop impopolare: sto avendo a che fare con il pop, ma a modo mio (ride). Grazie al cielo ho una scrittura riconoscibile. In un’epoca in cui si fa fatica a distinguere i cantanti tra di loro, perché le canzoni suonano tutte allo stesso modo, il mio riferimento sono artisti come Paolo Conte e Franco Battiato, che hanno spaziato tra i generi ma rimanendo sempre originalissimi e unici».

Qual è l’incontro che l’ha spiazzata di più, tra quelli che ha fatto in questi mesi?

«Quello con Nada, che ha accettato di cantare con me Fuoco dentro. Vive in una casa di campagna a un’ora e quaranta da Grosseto. Per arrivarci, devi prendere una strada sdrucciolevole e proseguire per quattro o cinque chilometri, arrivando lontanissimo da ogni forma di civiltà. Mi ha detto: “Questo è il mio monastero e la mia casa di cura”».

Cosa le ha raccontato?

«Che ha iniziato ad ascoltare la radio solo nell’ultimo anno. E sa perché? Perché i cinghiali di notte le andavano a distruggere il giardino, così le hanno consigliato di lasciare delle radio accese per non farli avvicinare: “Vasco, ora ho capito perché in radio quelli come noi non li passano mai: suonano solo canzoni assurde” (ride)».

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