Brian Eno, Leone d'oro alla Biennale Musica: «La mia carriera è la celebrazione dell'incertezza»

Il musicista britannico Brian Eno, 75 anni, guru della scena artistica, inventore dell'ambient, riceve il Leone d'oro a Venezia: Un premio a un fungo come me? Non ho mai creduto nei self-made men. Le persone si formano in contesti sociali che li alimentano. Come i funghi che crescono ovunque

Brian Eno, 75 anni (in alto con il microfono e il cerchio rosa sulla maglietta) al Teatro La Fenice in Ships
di Simona Antonucci
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Domenica 29 Ottobre 2023, 18:53

«Io, un maestro? È una definizione distorta perché nessuna idea nasce da una sola persona. Un genio? Mi piace più “scenio”, una parola che fonde la genialità con il contesto sociale, la scena che rende possibile un’opera o un percorso». Brian Eno ha ricevuto nella Sala delle Colonne di Cà Giustinian il Leone d’oro alla carriera dal presidente della Biennale di Venezia Roberto Cicutto (ancora in carica fino a marzo 2024) e dalla direttrice, ancora per tutto il 2024, del Settore Musica Lucia Ronchetti. Un premio per il lavoro compiuto sulla ricerca della qualità, la bellezza e la diffusione del suono digitale e per la sua concezione dello spazio acustico come strumento compositivo.

IL TOUR DI SHIPS

«È un riconoscimento che mi onora», dice prima di partire in tour a Berlino, a Parigi e Utrecht con lo spettacolo Ships, che ha appena presentato alla Fenice di Venezia. «Mi sento solo uno che ha avuto tanta fortuna», spiega Eno, «quella di essere cresciuto in una cultura che sosteneva il sistema assistenziale e sanitario nazionale, che dava valore alle arti, alle scuole pubbliche, che ho potuto frequentare, e che riteneva la mobilità sociale un fattore positivo».

IL GLAM ROCK

Britannico, 75 anni, musicista, compositore e produttore discografico britannico, pioniere del glam-rock, videoartista, filosofo della musica e della cultura pop, scultore, cantante, polistrumentista, ha battezzato la “no wave”, la dance elettronica e la new age. Guru della scena musicale e artistica ha intrecciato la sua ricerca con i Roxy Music (concimando la band di Bryan Ferry e Phil Manzanera con una serie di effetti elettronici bizzarri e stranianti), David Bowie (segnando il momento più sperimentale dell’opera del Duca Bianco), Laurie Anderson, Talking Heads, David Byrne, Devo, ma anche con Wim Wenders e Nanni Moretti, l’artista Mimmo Paladino e il museo Reggia di Venaria.

La seduzione dell'incertezza

Ha fondato la musica ambient e oggi per definire il suo percorso rifonda il vocabolario. «Sono un “incertenario”», dice, «Voglio vivere nel mondo anche senza capirlo, nell’incertezza. La mia carriera è una celebrazione del dubbio, che considero il nutrimento del confronto. E se anche i premier politici coltivassero il dubbio, forse ci sarebbero meno conflitti e meno disparità sociali».

La macchina sonora ad acqua piovana

Rifiuto di certezze granitiche anche nell’arte: «Ho sempre creato pensando che fosse possibile fare altro, oppure la stessa cosa in tanti altri modi. Le collaborazioni sono stati viaggi da inventare insieme. Ma soltanto l’esperienza mi ha aiutato a godere dell’incertezza. Che è una situazione stimolante e seduttiva. E il ruolo di noi artisti è sostanzialmente quello di insegnare a non essere spaventati dal non sapere, ma di godere dell’incertezza e della stranezza». Eno ha ampliato il suo percorso creativo interessando una molteplicità di discipline (tra l’altro inventa pure una macchina sonora ad acqua piovana e incide un brano per percussione di lampada metallica): pittura, scultura, videoarte.

La Baltic Sea Philharmonic

Un caleidoscopio espressivo messo in circolo dalle sue opere che hanno trovato ospitalità nei diversi festival della Biennale di Venezia: nel 1985 è stato ospite della sezione Videomusica con “Thursday Afternoon”, video painting di 80 minuti; l’anno dopo presenta sculture visive, installazione di suoni, luci e video, per l’esposizione d’arte; di nuovo nel 2006 con una complessa video-installazione dislocata in tre ambienti inanellati uno nell’altro, Painting like Music. «Non ho mai partecipato come ballerino», dice scherzando «e credo che ormai sia troppo tardi».

Mai troppo tardi, però, per incontrare un’orchestra: «È successo soltanto grazie a Lucia Ronchetti. Non mi sarebbe mai venuto in mente. Ho sempre considerato le orchestre un po’ legnose, fino a quando non ho incontrato questi ragazzi della la Baltic Sea Philharmonic».

Il software designer Peter Chilvers

E così ecco il “non accademico” Brian Eno alla Biennale musica con la prima esecuzione assoluta del nuovo progetto Ships, insieme alla Baltic Sea Philharmonic diretta da Kristjan Järvi, l’attore Peter Serafinowicz, il collaboratore storico e chitarrista Leo Abrahams, il software designer Peter Chilvers: risultato, una perfomance-concerto, un bagno di luci e di suggestioni, una festa irrituale che ha divertito prima di tutto i protagonisti sul palco. «Ogni musicista vuole suonare in Italia perché il pubblico diventa parte dell’evento. La cultura italiana era alle mie spalle a sostenermi. Ero sicuro di non poter fallire».

Dij set con Sonics Acts

Scrivendo di sé, il neo Leone, confessa che per molto tempo si è chiesto se avesse voluto essere un pittore, uno scultore, un artista del suono. «Il lavoro compositivo di Brian Eno è dagli esordi concepito quale processo generativo che evolve anticipando molte delle tendenze compositive legate al suono digitale», spiega Lucia Ronchetti, compositrice romana che ha dimostrato un’inesauribile creatività aprendo la sua Biennale, che chiude oggi, anche ai dj set (la lunga e scatenata notte di Sonics Acts con la producer star londinese Aya), portando in chiesa duetti tra digitale e organi (la sintesi analogica combinata con strumentazione acustica di Kali Malone), mettendo in mostra un’installazione sonora, quella di Alberto Anhaus, con le “voci” delle alghe veneziane.

Il fungo e i self-made men

E consegnando un Leone al rivoluzionario Eno e ai suoi semi musicali capaci di generare nuovi paesaggi sonori. «Un onore che un fungo come me riceva questo premio. Non suona bene, lo so, ma mi considero come un fungo che viene generato da una realtà complessa. Negli Stati Uniti abbiamo il mito dei self-made man, Elon Musk, Steve Jobs, ma nessuno si è fatto veramente da solo. Le persone si formano in quadro sociale che li alimenta, sì, proprio come i funghi che crescono ovunque».

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