I pentiti e l'ultima frase di Moro prima di essere ucciso: «Non sono stato io»

I pentiti e l'ultima frase di Moro prima di essere ucciso: «Non sono stato io»
di Marco Cusumano
4 Minuti di Lettura
Lunedì 12 Luglio 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 12:26

Dalle carte dell'indagine sull'omicidio di Massimiliano Moro, avvenuto il 25 gennaio 2010, emergono nuovi dettagli collegati agli arresti eseguiti dalla Squadra Mobile.
Per il delitto avvenuto al culmine della guerra criminale per il controllo della città, sono sei le persone sotto accusa: Andrea Pradissitto (oggi pentito), Simone Grenga (l'esecutore materiale), Ferdinando Ciarelli detto Furt, Ferdinando Ciarelli detto Macù, Antoniogiorgio Ciarelli e Ferdinando Di Silvio detto Pupetto. Gli ultimi due, rispettivamente fratello di Carmine Ciarelli e figlio di Armando Di Silvio detto Lallà, ricoprirono il ruolo di pali sotto il palazzo di Moro durante l'esecuzione.
La loro presenza è stata confermata dal nuovo pentito, Andrea Pradissitto, le cui dichiarazioni sono state confrontate con quelle di Renato Pugliese e Agostino Riccardo che avevano già parlato abbondantemente dell'omicidio di Massimiliano Moro. Fu proprio Pugliese a fornire degli importanti dettagli sulla dinamica del delitto in un interrogatorio del gennaio 2017 che oggi assume particolare rilievo.


LA DINAMICA
Davanti al pm De Lazzaro, il pentito Pugliese racconta la ricostruzione dell'omicidio di Massimiliano Moro, basata su una serie di informazioni raccolte negli anni e in particolare sulle parole di Pasquale Di Silvio. Quella sera nel quartiere Q5 entrano in azione 6 persone in tutto: due salgono in casa di Moro, due restano sotto casa e altre due «si fermano a metà».
In casa entrano Simone Grenga e Ferdinando Ciarelli (figlio di Carmine), Grenga è armato ed è incaricato di eseguire materialmente il delitto. I due suonano alla porta di Moro, lui apre e li fa entrare. «Grenga con una scusa... dice ma sai quella cosa... poi prende la pistola e gli dà il primo colpo, forse dietro al collo...». A quel punto nel racconto di Pugliese emerge un elemento agghiacciante. Moro, cadendo a terra, avrebbe pronunciato le ultime parole: «Non sono stato io, non mi ammazzate». Poi viene colpito dal secondo e ultimo colpo di pistola. Il racconto di Pugliese prosegue: «Il figlio di Carmine Ciarelli gli diede dei calci e gli disse non eri degno di ammazzare mio padre...» riferendosi al tentato omicidio avvenuto davanti al bar Sicuranza in via del Pantanaccio poche ore prima, episodio attribuito dal clan al gruppo facente capo a Massimiliano Moro.
L'INCONTRO
Pugliese racconta ai magistrati di aver successivamente incontrato Simone Grenga in carcere e Viterbo: «Un giorno mi trovo Grenga sul mio piano, al quarto D a Viterbo, lui mi fa amico mio, io lo abbraccio e gli dico queste parole, gli dico che fai, qui mi abbracci e fuori mi ammazzi? e lui dice no, a te non lo farei mai». Pugliese racconta di essere cresciuto insieme a Grenga, però riflette sulla situazione: «E se io non stavo in galera e stavo a casa di Moro? Ero morto anche io...».
Il pm De Lazzaro chiede a Pugliese come Pasquale Di Silvio fosse venuto a conoscenza della ricostruzione dell'omicidio. «Lui sapeva tutto - risponde il pentito - perché quando c'era la guerra criminale mi ha detto che Ferdinando Ciarelli spese 40 o 50.000 euro di armi. Su un tavolo ci stavano tutte le armi (...) Ognuno si va a togliere le sue soddisfazioni... perché lì si dice noi siamo zingari, che facciamo, ci facciamo ammazzare dagli altri?».
Poi Pugliese fa riferimento ai successivi tentati omicidi. «Da lì partono tutti gli episodi, Marchetto, Nardone. Marchetto si è salvato per un pelo, è in vita perché si salva per un accenno, per una signora che viene vista, perché sennò lui lo sbaglio di scendere lo ha fatto, lo sa molto bene Marchetto e mi ha parlato anche lui di questo fatto, un giorno che si era fermato al Bar Cifra...».
I NOMI
La lista delle persone da eliminare viene confermata dal pentito Pradissitto: si tratta di Fabrizio Marchetto, Carlo Maricca, Mario Nardone, Maurizio Santucci e i fratelli Antonio e Pietro Mazzucco, «andavano eliminati perché potevano impedire che noi tutti prendessimo il potere su Latina e provincia in modo incontrastato».
Marco Cusumano
© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA