«Così scoprimmo che Moro fu ucciso per una vendetta»

«Così scoprimmo che Moro fu ucciso per una vendetta»
di Elena Ganelli
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Mercoledì 6 Dicembre 2023, 09:51

L'omicidio di Massimiliano Moro è stato sicuramente il frutto di una vendetta da parte dei clan Ciarelli e Di Silvio nei confronti di un personaggio che stava minacciando alcune delle loro attività criminali ma tale interpretazione dei fatti non è stata immediata: c'è voluta una mattanza durata circa 48 ore nel corso delle quali si sono consumati prima la gambizzazione di Carmine Ciarelli, poi l'uccisione di Moro nel suo appartamento in Q5 e poi ancora l'omicidio di Fabio Buonamano perché gli eventi fossero interpretati come parti di una vera e spietata guerra criminale.

A ricostruire quei due giorni, il 25 e 26 gennaio 2010, è stato l'allora capo della Squadra mobile di Latina Cristiano Tatarelli, ascoltato dalla Corte di assise di Latina presieduta da Gian Luca Soana nel processo a carico di Ferdinando Ciarelli detto Macù, Simone Grenga, Antoniogiorgio Ciarelli e Ferdinando Di Silvio detto Pupetto, chiamati a rispondere di omicidio premeditato aggravato dai motivi abietti con l'aggravante di avere agito con metodo mafioso.
«Fu un omicidio eclatante», ha spiegato l'investigatore rispondendo alle domande dei pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia Luigia Spinelli e Francesco Gualtieri e ricostruendo quelle ore concitate per poi ammettere - in risposta ad alcuni quesiti specifici dell'avvocato Alessandro Farau e dell'avvocato Marco Nardecchia - che soltanto quando venne ucciso Fabio Buonamano il quadro si chiarì completamente. Rivelando solo all'ora agli investigatori che la morte di Moro era una vendetta dei due gruppi rom per gli spari contro il capo Carmine Ciarelli, gravemente ferito ma miracolosamente sopravvissuto. In un primo momento dunque le indagini della Mobile si erano orientate verso altre persone dell'ambiente criminale pontino.
In aula è stato inoltre ascoltato anche, collegato dal carcere dove è detenuto, Giuseppe Pasquale Di Silvio fratello di Pupetto e figlio di Lallà Di Silvio il quale oltre ad avere negato di avere parlato della morte di Moro con il collaboratore di giustizia Renato Pugliese ha anche sottolineato come Macù, che viene considerato il mandante dell'omicidio, non avrebbe potuto decidere l'uccisione di Moro senza il consenso dello zio Ferdinando Furt Ciarelli.

LO STOP

In chiusura di udienza la pm Spinelli ha chiesto la sospensione dei termini di custodia cautelare nei confronti degli imputati alla luce della circostanza che la scadenza è a gennaio 2024, richiesta alla quale si sono opposti i difensori ma che, a conclusione della camera di consiglio, è stata invece accolta dalla Corte d'assise.
Si torna in aula il 9 gennaio del prossimo anno per proseguire con l'audizione degli altri testimoni tra i quali Ferdinando Di Silvio detto Gianni, fratello di Lallà, e Paolo Peruzzi, personaggio dato per vicino a Moro nel periodo precedente la sua uccisione. Per entrambi la Corte ha l'accompagnamento coattivo visto che non si sono presentati in udienza come richiesto.
 

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