Trattato storico per proteggere gli Oceani, all'Onu firmata intesa per inserire il 30% dei mari in aree protette entro il 2030

Trattato storico per proteggere gli Oceani, all'Onu firmata intesa per inserire il 30% dei mari in aree protette entro il 2030
di Franca Giansoldati
3 Minuti di Lettura
Domenica 5 Marzo 2023, 14:02 - Ultimo aggiornamento: 6 Marzo, 14:48

Sos oceani. L'ultimo trattato internazionale per la salvaguardia delle acque marine del pianeta risaliva al lontano 1982. Ci sono voluti oltre dieci anni di negoziati tra blocchi, mediazioni fallite e accordi naufragati perchè le nazioni raggiungessero una nuova intesa che per la cornice nella quale si inserisce si può effettivamente definire storica. Il Trattato si propone proteggere gli oceani e di inserire il 30% dei mari in aree protette entro il 2030, per tutelare e recuperare la natura marina ormai minata da pesca indiscriminata e selvaggia, inquinamento senza controllo, depauperamento verticale delle specie protette con il rischio di non riuscire più a recuperare la distruzione finora causata dalla mano dell'uomo. 

Clima, Enea: Mediterraneo bollente, + 4° sopra le medie stagionali

L'accordo è stato raggiunto sabato sera, dopo 38 ore di colloqui, presso la sede delle Nazioni Unite a New York. I negoziati sono stati bloccati per anni da disaccordi sui finanziamenti e sui diritti di pesca. In pratica sono state istituite nuove aree internazionali protette che porranno dei limiti alla pesca, alle rotte di navigazione e alle attività di esplorazione come l'estrazione mineraria in alto mare, quando i minerali si trovano a 200 metri di profondità. Secondo l'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), nell'ultima valutazione delle specie marine globali, quasi il 10% è risultato a rischio di estinzione.

I gruppi ambientalisti temono che i processi di estrazione possano disturbare le zone di riproduzione degli animali, creare inquinamento acustico e risultare tossici per la vita marina.

L'Autorità internazionale per i fondali marini, che sovrintende al rilascio delle licenze, ha dichiarato alla BBC che in futuro «qualsiasi attività nei fondali profondi sarà soggetta a rigorose norme ambientali e a una supervisione per garantire che venga svolta in modo sostenibile e responsabile».

Cop26, come puntare sul climate change senza scottarsi le dita

I Paesi dovranno riunirsi nuovamente per adottare formalmente l'accordo. Naturalmente i Paesi dovranno ratificarlo perché entri in vigore. La strada è ancora lunga, ma un buon tratto è stato coperto. 

Durante l'ultima COP, la conferenza delle Nazioni Unite sulla tutela della biodiversità, era stato messo nero su bianco che il 90% delle specie marine, circa 2,2 milioni di organismi, rischia di estinguersi e scomparire prima ancora di essere scoperto, con conseguenze imprevedibili per l'approvvigionamento alimentare umano e per la regolazione del clima.

Congresso internazionale biodiversità, milioni di specie a rischio: dagli squali al Drago di Komodo

L'emergenza maggiore per i ricercatori è di tutelare quello che viene definito l’oceano profondo, quello tra i 200 e gli 11mila metri di profondità, poiché è l'habitat più grande del mondo e copre più della metà della superficie terrestre. Viene considerato essenziale per la regolazione del clima globale, immagazzinando anidride carbonica e calore e mantenendo la biodiversità.

Reti da pesca abbandonate sui fondali: parte campagna di recupero sostenuta dalla Fipav


La conoscenza delle specie che vivono in questo ambiente (per lo più ancora sconosciuto) è un primo passo indispensabile per la loro protezione, dal momento che sono sempre più esposte all'inquinamento e alla distruzione dell'habitat. In particolare, il riscaldamento globale, l'acidificazione degli oceani e l'esaurimento delle risorse potrebbero portare a drammatici cambiamenti nella biodiversità delle profondità marine, con conseguenze imprevedibili anche per gli esseri umani.

© RIPRODUZIONE RISERVATA