«Vado a vivere in roulotte». Aumentano le persone che scelgono il camper per il «caro vita»

La tendenza arriva anche in Italia: i “nomadi per scelta” sono 50mila. Meno stress e costi bassi

«Vado a vivere in roulotte». Caro vita, aumentano le persone che scelgono il camper
di Francesca Pierantozzi
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Martedì 30 Aprile 2024, 00:12 - Ultimo aggiornamento: 08:03

Il primo censimento “ufficiale” è del 2022 e lo ha realizzato la fondazione francese Abbé Pierre: 100mila francesi abitano in campeggio. Tutto l’anno. Il loro indirizzo è il numero di una piazzola. E sono sempre più numerosi: per il caro vita, le garanzie impossibili che chiedono i proprietari ai potenziali inquilini, ma anche per scelta, grazie allo smart working, o magari per godersi la pensione in pace, con giardino e liberi da vicini irascibili. Una tendenza che non è limitata solamente ai nostri cugini d’Oltralpe ma si sta espandendo a macchia d’olio. Si stima che nel nostro Paese sarebbero circa 50mila le persone (soprattutto pensionati e giovani) che vivono come “nomadi”, in camper o bungalow. Una tendenza in aumento dopo il Covid.

 

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La decisione

Questo trasloco di massa nei bungalow vede la Francia in testa alla classifica dopo gli Stati Uniti (storica terra di “trailer park”, villaggi di campeggiatori stanziali) seguita da Svizzera, Belgio, Australia, Inghilterra e ormai anche dall’Italia.

La tendenza potrebbe diventare un vero e proprio modo di vita e ha anche il suo primo studio etno-antropologico. Si deve al sociologo Gaspard Lion: per quattro anni ha studiato la vita dei residenti in cinque campeggi nella regione di Parigi e il 5 aprile ha pubblicato i risultati della sua inchiesta, “Vivre au Camping” (vivere in campeggio), pubblicato dalle edizioni Seuil. In Italia, dove il fenomeno non è tracciato ma in continua crescita, coloro che fanno questo tipo di scelta sono l’evoluzione dei cosiddetti “nomadi digitali”: vivono in una dimensione a metà tra la tecnologia e la natura, svincolati da una sede operativa fissa, dalla reperibilità, dall’obbligo di presenza e dagli orari.


 

 

Le esperienze

Le storie sono tante e le ragioni che spingono ad abbandonare il tradizionale condominio altrettante. «Ho investito tutto quello che avevo nell’unica cosa che poteva permettermi di acquistare: una mobilhome - racconta per esempio Florence. Divorziata, madre di due figli, commessa e donna delle pulizie, entrambi lavori in part time, abita in un campeggio del Morbihan, in Bretagna, da quasi un anno. Anche l’affitto di una casa in un palazzo di residenza popolare era diventato troppo per il bilancio familiare. «Il mio sogno sarebbe stato comprare una casetta con giardino, ho dovuto accontentarmi di un bungalow». È una situazione comune a molti campeggiatori stanziali, come spiega Lion: «sono quasi sempre lavoratori con redditi modesti. Poi c’è chi deve far fronte alla perdita del lavoro, o a una diminuzione repentina del reddito. Infine, c’è il caso di chi non ha una casa da tanto tempo, che magari ha vissuto per strada per anni: il campeggio diventa in questo caso una forma di rinascita, una ripartenza, un miglioramento netto della propria situazione». Poi c’è chi la scelta la fa proprio per passione. Come Jean Paul, 50 anni, impiegato in una ditta di manutenzione e sua moglie. Anche lui originario della Bretagna e anche lui - felicemente - residente in un bungalow in un campeggio diventato il suo quartiere. «Paghiamo 630 euro al mese per quattro vani e giardino. All’inizio avevamo pensato di starci un po’ di tempo, una cosa temporanea; poi abbiamo deciso di restare. Ci stiamo bene, è una vita di libertà. Non ci sono vicini del piano di sopra, né vicini del piano di sotto». Non sono però tutte rose e fiori, in particolare quando si tratta dello sguardo degli altri. «I genitori dei nostri giovani vicini non vengono nemmeno a trovarli. Li considerano dei nomadi, dei senza tetto, dei marginali - racconta Jean-Paul - Ci è capitato di vendere dei mobili online: quando gli acquirenti scoprono che devono venire a ritirarli in un campeggio, si tirano indietro». Il fenomeno pare comunque destinato ad amplificarsi. Secondo Manuel Domergue, direttore dell’ufficio studi della Fondazione Abbé Pierre, si nota «un aumento preoccupante di affitti non pagati anche nelle case popolari». Secondo le ultime cifre «tra i 4 milioni di francesi che vivono in condizioni disagiate, 1 milione non ha una alloggio personale, ovvero vive o in strada o in centri di accoglienza, 2 milioni vivono in situazione di grave precarietà e circa 1 milione in alloggi di grave sovraffollamento».

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