Il monitoraggio e gli accertamenti erano partiti già prima dei fatti di Parigi. Ma dopo l'attentato a Charlie Hebdo le comunicazioni si sono intensificate.
Sono in tutto una ventina i nomi iscritti sul registro degli indagati della procura di Roma con l'ipotesi di terrorismo internazionale, tra loro ci sono residenti all'estero finiti all'attenzione dell'antiterrorismo del Ros per le conversazioni sospette che fanno continuo riferimento alla jihad e alla possibilità di colpire in Italia. Un'indagine di cui potrebbe occuparsi un nuovo organismo ad hoc: il ministro Orlando, a conclusione d un vertice con le procure, ha annunciato che sarà la Direzione nazionale antimafia ad ospitare il coordinamento delle inchieste antiterrorismo.
LE INDAGINI
Quelli individuati da Roma sono lupi solitari, da anni gli investigatori li tengono sotto controllo.
Una procura lombarda, invece, avrebbe già individuato alcuni reclutatori maghrebini di possibili jihadisti pronti a partire. A Milano intanto è ancora aperta l'inchiesta su Maria Giulia Sergio, che ha scelto il nome Fatima per la jihad, la donna italiana di 27 anni partita nei mesi scorsi per combattere in Siria. Una decina di indagati si contano invece nel filone di inchiesta relativo ai foreign fighters siriani partiti da Cologno Monzese nel 2012.
LA MAPPA DEGLI ITALIANI
Ieri intanto il Copasir ha ascoltato il sottosegretario con delega all'intelligence Marco Minniti, che al comitato parlamentare di controllo ha consegnato l'elenco dettagliato dei 53 foreign fighters partiti dall'Italia, dei quali aveva parlato anche il ministro degli interni Angelino Alfano. Il documento evidenzia come i guerriglieri provenienti dall'Italia siano distribuiti sul territorio nazionale, in particolare al nord (vengono da Torino, Modena, Comiso, Mantova, Milano, Como, Cantù, Venezia, Bologna, Roma, Napoli, Biella) e abbiano un'età compresa tra i 19 e i 42 anni. Sono quattro le tipologie di foreign fighters: quelli, di cittadinanza italiana o no, che con certezza hanno raggiunto la Siria per partecipare alla jihad; i membri di gruppi radicali, che hanno lasciato il Paese diretti in luoghi limitrofi alle zone in cui si combatte e poi sono rientrati; quelli provenienti da altri paesi e imbarcatisi dall'Italia verso Est e, viceversa, quelli rientrati attraverso l'Italia e ora in Europa, le cui identità sono state segnalate alle autorità competenti.
Un'attenzione specifica è ovviamente rivolta ai soggetti rientrati in Italia, sebbene al momento non ci siano prove sufficienti per dire che abbiano partecipato alla guerra santa. «Stiamo lavorando perché nessuno dei rischi potenziali diventi concreto, e al momento siamo preoccupati ma senza allarmi specifici», ha spiegato il sottosegretario. Tra i rischi da tenere sotto controllo, aggiunge il vicepresidente del Copasir Giuseppe Esposito c'è soprattutto «quello delle possibili emulazioni».
LE RIFORME
Il sottosegretario tornerà al Copasir tra due settimane per discutere le possibili strategie di rafforzamento dell'intelligence. Un piano che dovrebbe passare per il potenziamento del personale, l'aumento delle risorse logistiche ed eventuali interventi di riforma del testo di legge sui servizi. «Concorderemo insieme la strategia da seguire», chiosa Rosa Calipari membro del Copasir in quota Pd.