Di mamma non ce n'è una sola: il boom del flag rugby all'Unione capitolina

Di mamma non ce n'è una sola: il boom del flag rugby all'Unione capitolina
di Paolo Ricci Bitti
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Martedì 15 Dicembre 2015, 16:01 - Ultimo aggiornamento: 18:29

Urca quante ragazze sabato mattina sul prato dell’Urc. Eppure l’Unione rugby capitolina non schiera una formazione femminile: allora sarà mica la nazionale azzurra che si sta allenando sotto il sole? Strano, però, in questo periodo la nazionale non gioca. E poi fra quelle ragazze passaggi su passaggi con l’ovale che viaggia per tante mani, ma neppure un placcaggio, neanche uno, nemmeno mezzo: com’è allora che quell’allenatore che torreggia fra le ragazze non le riprende, non alza la voce, che diamine?
 



La risposta arriva avvicinandosi al campo numero due: ecco, nemmeno un placcaggio perché le ragazze stanno giocando a flag (o tag) rugby. E poi va detto - solo per la cronaca, eh - che non si tratta effettivamente di ragazze, ma di donne ovvero di mamme con il comune denominatore di essere mamme di rugbysti: dagli under 6 in su, cosicché l’età va da poco meno dei 30 anni ai 45. E anche da vicino sembrano tutte ragazze che corrono, si sbracciano, fintano, evitano l’avversaria e si tuffano in meta.



Un passo, anzi un passaggio indietro, tanto siamo in ambito ovale. Da ormai un mese (complici le famose ”novembrate e dicembrate romane” perché così vuole il riscaldamento globale) un gruppo notevole di mamme di rugbysti si ritrova in quell’angolo di Galles che è l’Urc di via Flaminia a Roma per giocare a flag rugby. Non risultano altri esempio, a questi livelli, nelle altre isole del rugby italico.

«Quando abbiamo lanciato l’idea - dice Sebastian Caffaratti, origini argentine, storico componente dello staff tecnico dell’Unione dopo aver giocato per tante stagioni trequarti centro - pensavamo di raccogliere sul campo al più qualche mamma, magari tra quelle che da sempre aiutano la società nelle sue mille attività. Beh, ne sono arrivate quindici il primo sabato, venti il secondo e dal terzo, sempre sotto il sole, saranno oltre trenta, tanto che abbiamo chiamato anche un secondo tecnico, Andrea Lijoi (nome importannte nel rugby romano) e altri si alterneranno».

All’Urc capita sempre così: l’idea viene in messa in pratica, ma poi sbagliano le dosi e invece di un bigné dal forno esce un panettone e gli impianti non bastano mai per gli oltre 500 tesserati. Prima del boom delle mamme rugbyste, c’è stato infatti quello dei papà calciatori. Calciatori sul campo da rugby?

«Sì - riprende ”Seba” - per coinvolgere i papà degli atleti delle giovanili che non hanno mai giocato a rugby li abbiamo invitati a giocare a pallone, a calcetto, insomma. Ne sono arrivati più di 50, non sapevamo più dove metterli. Ci siamo divertiti un sacco, ma per fortuna si è trattato di un esperimento una tantum, mentre invece con le mamme rugbyste continueremo per tutta la stagione anche perché il campo sintetico permette sempre di giocare senza problemi. Ed è molto più trascinante della solita palestra o della corsa».

Mamme di tutte le età: professioniste, dipendenti, insegnanti, medici, infermiere, impiegate, casalinghe a tempo determinato (determinato appunto dai figli piccoli). Mamme che non hanno mai praticato sport (ehm, si vede da qualche passaggio alla ”vispa teresa”) e altre che lo sport devono solo rispolverarlo, ma che mai avrebbero pensato di provarci con il rugby giocato dai loro figli e figlie.

«Anzi - dice Daniele Pacini, anima e director of rugby (sovrintendente generale, per capirsi) dell’Urc - qualche mamma, già dopo il primo allenamento, si è pentita di aver ripreso il figlio per un passaggio sbagliato. ”Non pensavo che a volte fosse così difficile superare la linea del vantaggio”, dicono adesso con affettata competenza. Ma è davvero sorprendente l'entusiasmo di queste ragazze. Mettono in campo la stessa grinta che hanno nel sostenere le tante attività della società che da sempre ha fatto del volontariato la  propria cifra».

Appunto, mamme volontarie a bordo campo, in società, e al comando di frenetiche grigliate e stremate lavatrici se ne sono sempre viste, ma in campo? Dov'è finito, per quanto in via d'estinzione, il lato misogino della palla ovale che dice che «Il rugby non è sport da signorine»? A parte che qui abbiamo signore e non signorine e che il rugby femminile è spesso più spettacolare di quello maschile, ecco che arriva il flag (o tag) rugby. E' un modo per giocare a rugby con meno impatti, anche se poi qualche spallata e qualche livido ci scappano lo stesso. L'hanno inventato ormai 30 anni fa in Inghilterra e da allora si è diffuso anche in paesi non rugbycentrici: ogni giocatore indossa una cintura di tela con due fettucce applicate ai fianchi con strisce di velcro. Per fermare l'avversario bisogna strappargli una di quelle strisce; dopo sei di questi "placcaggi", se non si è segnata la meta (effettuando il classico toccato in area di meta), la palla passa ai rivali. Non ci sono di conseguenza mischie e le squadre vanno da cinque giocatori in su. Chi è stato negli scout conosce palla-scout con gli "scalpi", ovvero il gioco ultracentenario che ha ispirato il flag rugby.

"E' un modo di giocare - spiega ancora Pacini - che privilegia l'attacco e quindi molto divertente, adatto a tutte le età e capacità".  

Intanto attorno al campo numero due si è radunata sotto il sole una folla molto interessata. Interessata al campo, perché sta per scoccare il cambio-turno: dalle mamme del flag rugby alla squadra degli Old (maschi over, a volte molto over, 35 anni), che inscenano il corridoio d'onore alle mamme in uscita. E di sabato in sabato, più aumenta il numero delle mamme, più sale quello degli Old: merito certo delle dicembrate romane.   

twitter: @paoloriccibitti

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