Al Comunale arriva Turandot nel cyber-matriarcato firmato Cherstich e AES+F

Turandot al Teatro Comunale di Bologna
di Simona Antonucci
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Venerdì 24 Maggio 2019, 21:45
Pechino è una megalopoli globalizzata dove gli uomini convivono con macchine e androidi. Turandot è a capo di questo nuovo e gigantesco impero ed esercita uno spietato cyber-matriarcato. Abita in un palazzo “drago volante”, rosso fuoco, insieme con un esercito androgino: robot addetti alla tortura dei principi spasimanti. Violenta e ferita, fredda e sensuale, la principessa manifesta tutti i suoi alter ego, le mille sfumature di una personalità enigmatica, trasformandosi in figure ibride e metamorfiche. Ping, Pang e Pong sono personaggi kafkiani, burocrati innamorati di un passato da cartolina che ricorrono a sostanze “alteranti” per ritrovare una realtà che non esiste più. Calaf, con Timur e Liù sono, invece, anime in fuga: hanno il ruolo dei rifugiati, coloro che in una società organizzatissima, rappresentano l’elemento estraneo e perturbante.

Dopo il successo al Teatro Massimo di Palermo, lo scorso gennaio, la Turandot avveniristica firmata da Fabio Cherstich e da AES+F arriva al Teatro Comunale di Bologna, dal 28 maggio al 7 giugno. Sotto i riflettori, un mondo visionario e avveniristico, con un’eroina pucciniana che dal 1926 fa un viaggio nel tempo fino al 2070, passando per gli studi del collettivo di artisti russi AES+F, che le hanno ritoccato l’identità, e per il fantasioso laboratorio creativo di Fabio Cherstich, il “padrino” dei progetti OperaCamion e OperaCity, regista dell’allestimento.

«È la mia prima regia lirica dentro un vero e proprio teatro», scherzava Cherstich durante le prove al Teatro Massimo, «i lavori precedenti con il Costanzi, assieme all’artista Toccafondo, sono andati in scena dentro un tir nelle periferie romane, dove tornerò la prossima estate. E con il Massimo ho firmato un Elisir nella fattoria di Danisinni, a Palermo, tra edifici abbandonati, orti e stalle. Ora, che mi hanno messo a disposizione un palco tradizionale, pur mantenendo l’essenza dei personaggi e della storia, l’ho smontato e trasformato in un mondo astratto di pura fantasia. Una cosa tranquilla, io mai».

Sul podio a dirigere orchestra e coro del Comunale, il maestro Valerio Galli. In scena, il soprano Hui He nel ruolo del titolo (Ana Lucrecia García nelle recite del 29 e 31 maggio, 5 e 7 giugno), il tenore Gregory Kunde in quello di Calaf (Antonello Palombi, il 29 e 31 maggio, il 5 e 7 giugno) e il soprano Mariangela Sicilia nei panni della giovane schiava Liù (Francesca Sassu, il 29 e 31 maggio, il 5 e 7 giugno).

Completano il cast In-Sung Sim come Timur (Alessandro Abis, il 29, il 31 maggio e il 5 giugno), Bruno Lazzaretti nei panni di Altoum, i tre consiglieri imperiali Ping, Pong e Pang interpretati rispettivamente da Vincenzo Taormina (Sergio Vitale, il 29 e 31 maggio, il 5 e 7 giugno), Cristiano Olivieri (Pietro Picone il 29 e 31 maggio, il 5 e 7 giugno), Francesco Marsiglia (Orlando Polidoro, il 29 e 31 maggio, il 5 e 7 giugno), Nicolò Ceriani Silvestri nel ruolo di un mandarino, il principe di Persia Massimiliano Brusco (Andrea Taboga il 29 e 31 maggio, 5 e 7 giugno) e le ancelle di Turandot interpretate da Silvia Calzavara e Lucia Viviana (Rosa Guarracino e Marie-Luce Erard il 29 e 31 maggio, 5 e 7 giugno).

 «Ho sviluppato la mia lettura», spiega il regista Cherstich, «insieme con i quattro artisti del gruppo AES+F che l’hanno tradotta in immagini, video e costumi». Al risultato si assiste su schermi giganti che «imprigionano», aggiunge, «la scena e i cantanti». Cinque teste per un’operazione “non convenzionale” nata per soddisfare un’esigenza comune: evitare formalismi, patine di antichità, drammi in costume e restituire all’opera la forza che rischierebbe di diluirsi nel tempo.

«Un capolavoro lirico non è un quadro, una Gioconda da portare in giro nei musei», aggiunge Cherstich, «va creato un ponte per riavvicinarci alla profondità della storia. Scavalcato il divario temporale. E, il mondo lontano, quello che poteva essere la Cina nell’epoca di Puccini, oggi, secondo me è una proiezione della società globale».

In questa favola del terzo millennio, la forza che ancora risuona è quella dei sentimenti. «Agli enigmi lasciati in eredità da Puccini che morì prima di terminare l’opera si sono aggiunti i nostri.
Ma un punto resta centrale: il rapporto tra amore e morte intorno al quale ruota il legame tra i due protagonisti. Il sacrificio di Liù porta all’amore utopico del finale. E in una sorta di Eden, riusciranno a tornare persone normali. Il sentimento tra Calaf e Turandot sarà il balsamo che guarirà società e masse». 
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