In mostra a Roma i "Labirinti del cuore": l'arte del sentimento da Giorgione a Tiziano

Giorgione,I due amici, 1502 circa
di Valeria Arnaldi
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Venerdì 23 Giugno 2017, 21:49 - Ultimo aggiornamento: 25 Giugno, 12:41
Sguardi languidi, malinconie esplicite, perfino muti - e a volte mutui - sospiri che sembrano alzarsi dalle tele, tra giochi di luci e ombre. Proposte di matrimonio suggellate da opere che ne ricordano il significato politico e sociale, senza dimenticare però l’emozione del momento, nello sguardo chino della futura sposa o nel suo lieve rossore. E ancora, dichiarazioni, abbracci, promesse e mancanze. Fino ad arrivare alla “confessione” di un ricamo sulla veste di un gentiluomo, opera di Bartolomeo Veneto, che per l’abito sceglie, inusitato, il motivo di un labirinto, posto sul petto e, più precisamente sul cuore a illustrare la complessità di sensazioni e moti dell’animo. Dunque a rendere evidente, per paradosso, l’impossibilità di fare chiarezza.
È un percorso “intimo”, coinvolgente, imponente per la presenza di alcuni capolavori ma delicato nel racconto che dell’arte vuole tracciare, quello della mostra “Labirinti del cuore. Giorgione e le stagioni del sentimento tra Venezia e Roma”, curata da Enrico Maria Dal Pozzolo, e fino al 17 settembre, ospitata a Roma in due sedi, Palazzo Venezia e Castel Sant’Angelo, dove sono complessivamente riuniti 45 dipinti, 27 sculture, 36 libri e manoscritti, nonché numerosi altri oggetti, stampe e disegni.

Cuore dell’esposizione, l’opera “I due amici” di Giorgione, considerata da gran parte della critica uno dei capolavori dell’artista ma ancora, per certi versi, “misteriosa” - non si conosce l’identità dei personaggi ritratti, nonostante sia probabile che si tratti di due personalità della cultura del tempo - e soprattutto poco nota al grande pubblico. Eppure è un’opera che ha segnato una rivoluzione nella ritrattistica cinquecentesca, chiamando sguardi e attenzioni a concentrarsi non sull’immagine in quanto tale, bensì sul sentimento di cui è espressione e manifesto. Molteplici le possibili chiavi di lettura. Conservata nelle collezioni di Palazzo Venezia, l’opera, diventa, in mostra, lo strumento per illustrare i rapporti tra Giorgione e Roma, ma pure il pretesto per indagare, più in generale, quelli tra l’Urbe e Venezia. Il ritratto è infatti attestato a Roma sin dal Seicento. Non solo. L’intero iter espositivo riflette sull’amore, come elemento portante della ricerca pittorica e intellettuale del tempo, tra linee petrarchesche e neoplatoniche diffuse tra i giovani patrizi della Serenissima. È proprio da “I due amici”, opera che non nasconde ripensamenti dell’artista - primo tra tutti, l’eliminazione di un libro precedentemente posto in primo piano - che prende le mosse il viaggio simbolico ed emotivo nella comprensione del proprio cuore e poi di quello altrui, in un dialogo di cui l’osservatore è testimone e, più spesso, protagonista.

Così nell’Appartamento Barbo, a Palazzo Venezia, sede della prima sezione di mostra, si concentra l’analisi del lavoro di Giorgione, in relazione al suo tempo e alla dimensione romana, tra opere e commissioni, con particolare attenzione per le influenze esercitate dal capolavoro nella scena artistica dell’epoca. A chiudere la sezione, un’installazione video sonora immersiva, “Il giardino dei sogni” di Luca Brinchi e Daniele Spanò, con musiche di Franz Rosati, che prendendo le mosse da alcuni dipinti di Giorgione, appunto, ricrea visioni di un giardino cinquecentesco.

Il percorso prosegue poi a Castel Sant’Angelo, negli appartamenti papali, con opere di grandi maestri del Cinquecento, come Tiziano, Tintoretto, Ludovico Carracci, Bronzino, Barocci, Bernardino Licinio e il fratello Arrigo, riunite a tentare di illustrare, e se non di spiegare, appunto, comunque di ricostruire il “dedalo” delle relazioni umane, dalla nascita del sentimento all’amore dichiarato, dal matrimonio alla perdita, fino alla nostalgia.

È  proprio in questa sezione che l’amore viene illustrato nella ricchezza delle sue espressioni e anche arti. Si comincia dalle “parole”, con una ricca esposizione di volumi che testimoniano riflessione e comunicazione sentimentale, dalla fortuna di Petrarca alle teorizzazioni sul tema, passando per la diffusione del volgare come strumento di “confessione” e condivisione delle emozioni. Si passa poi alla musica, cui nell’iter espositivo è dedicata particolare attenzione. La parola - scritta - si fa suono - cantato, che i lavori esposti celebrano, riportando vere e proprie partiture a offrire al visitatore un ulteriore strumento di interpretazione del soggetto. Qui, per la prima volta in Italia, “Coppia in un giardino” di Vincenzo Tamagni. Qui la bellezza del fascino femminile. Qui la suggestione “silenziosa” - che si può però ascoltare con l’audioguida - di un madrigale di Philippe Verdelot, composto su uno “strambotto iuvenile” del trevigiano Marcello Filosseno, tra contemplazione e commozione.  
 
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