I migranti di Ai Weiwei in gara a Venezia: «La loro crisi è la nostra»

I migranti di Ai Weiwei in gara a Venezia: «La loro crisi è la nostra»
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Domenica 20 Agosto 2017, 16:06 - Ultimo aggiornamento: 22 Agosto, 15:29
Un flusso ininterrotto di dimensioni bibliche. Milioni di esseri umani che sfilano laceri e affamati nella polvere del deserto, tra i monti innevati, nella vegetazione inospitale, dentro corsi d'acqua ghiacciati, all'interno di città-fantasma bombardate, sui barconi sovraffollati. Facce rassegnate, bambini dagli occhi vuoti, coperte termiche, pianti, paura, dolore, testimonianze che mettono i brividi: il futuro degli ultimi del mondo, mentre li guardiamo migrare verso l'ignoto e inventiamo sempre nuovi modi per respingerli, non riserva prospettive.
L'EMERGENZA
Sono sconvolgenti le prime immagini di Human flow, l'atteso documentario sui profughi diretto dall'artista cinese Ai Weiwei: il trailer ufficiale è stato appena diffuso sulla rete e ci vuole poco a capire che l'opera, emozionante e grandiosa, sarà uno degli eventi della 74ma Mostra di Venezia. Nell'anno dei grandi film, il direttore Alberto Barbera ha scelto di metterla in concorso.
Human Flow, flusso umano, passerà il 1 settembre e al Lido sbarcherà anche Weiwei, 60 anni alla fine del mese, la fama di attivista politico e dissidente, 81 giorni di carcere duro alle spalle, mostre e installazioni allestite in tutto il mondo (nei mesi scorsi anche a Firenze, a Palazzo Strozzi, che è stato coperto di simbolici barconi). E un'ossessione: raccontare l'emergenza contemporanea che riguarda 65 milioni di persone costrette a lasciare la propria terra dilaniata dalla guerra, sconvolta dai cambiamenti climatici, devastata dalla carestia.
Il film, ambientato in 23 Paesi interessati dalle grandi migrazioni (tra cui Afghanistan, Bangladesh, Ungheria, Iraq, Israele, Giordania, Kenya, Grecia, Macedonia, Malesia, Messico, Pakistan, Palestina, Serbia, Siria, Turchia e naturalmente l'Europa) e in oltre 40 campi di raccolta e tendopoli, ha impegnato l'artista, anche coproduttore, per un anno intero. Ai Weiwei è andato in mezzo ai diseredati, ha filmato le loro condizioni di vita, ascoltato le loro voci, raccolto le denunce. Il documentario, una volta finito, è stato acquistato da Amazon Studios (in Italia da RaiCinema) che ne ha intuito il potenziale non solo artistico ma anche commerciale. Uscirà il 13 ottobre negli Stati Uniti, poi dovunque.
«Human Flow rappresenta il mio personale viaggio destinato a capire la condizione dell'umanità in questa nostra epoca», spiega Ai Weiwei. «Ed è stato girato con una profonda consapevolezza del valore dei diritti umani. La crisi dei rifugiati è la crisi dell'intera umanità. Oggi, affrontandola a modo nostro, abbiamo perso di vista i valori di base. Spero che il film aiuti a capire l'attuale condizione dell'umanità e della società in cui viviamo. In tempi tanto incerti, abbiamo bisogno di maggiore tolleranza, compassione e fiducia reciproca, altrimenti l'umanità dovrà fronteggiare una crisi ancora più grande».
LA SUA ODISSEA
Non è un caso se l'artista cinese sia interessato ai profughi. In qualche misura lo è anche lui. Apertamente critico con il governo del suo Paese, ambasciatore di Amnesty International, negli anni Ottanta emigrò a New York dove la sua fama si è consolidata. Tornato in Cina nel 1993 per assistere il padre malato, è stato incarcerato nel 2011 e poi liberato anche grazie alla mobilitazione di intellettuali e politici del mondo intero. Ha riottenuto il passaporto solo nel 2015. Attualmente vive a Berlino, la città che, insieme con Vienna, ha ospitato la sua installazione intitolata Law of the Journey: migliaia di giubbotti di salvataggio spalmati sulle facciate dei palazzi per ricordare l'emergenza. A Venezia, tra poco, la sua denuncia risuonerà ancora più forte.
 
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