Il Cinema e un festival senza cultura

di Mario Ajello
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Domenica 26 Ottobre 2014, 00:17
«Film deboli, attori vecchi,

Er Monnezza: lo stato del

nostro cinema, e di Roma,

al festival del cinema di Roma»


@RivistaStudio



Perché accanirsi così? Il festival di Roma, appena concluso, è quello che è: un simpatico happening un po’ sbracato e attraversato - questo sì che è orrendo - da folate di cattivo odore emanato dal solito camion bar oleoso, ospite fisso del paesaggio romano e dunque immancabile anche all’auditorium. Ma in questa gioiosa sagra paesana, c’è una pratica piacevole che è stata molto utilizzata nelle sale, lungo i viali, ai bar, nei corridoi, ed è quella denominabile così: del rimorchio culturale.



Il sedicente critico cinematografico, con capello scarsamente lavato e giacchetta finto rive gauche, intercetta la studentessa procace e le si avvicina così: «Quella volta che i Cahiers du Cinéma mi chiesero una riflessione, alta ma profonda, sulla filmografia del giovane Truffaut....». E la ragazza abbocca? Parrebbe. Tante scene così. Che avrebbero deliziato proprio Truffaut, «l’uomo che amava le donne», il quale però rimorchiava culturalmente senza il bisogno di ricorrere al rimorchio culturale.



E quell’attempato studente fuori corso di qualche pseudo-scuola di cinematografia che, avvinghiata la sua preda, cerca di sedurla a colpi di Godard? Per non dire di questo siparietto. Lei: «E smamma!». Lui: «Ma tu hai mai visto la mia opera prima?». Lei: «Mi basta di vedere te» (giacchetta da intellò, occhialetto radical-cool, solito capello semi-lurido, ndr). Lui: «Ma non capisci che è ora di smetterla di fare film che parlano di politica. E’ ora di fare film in modo politico». Lei sbadiglia. Poi arriva un palestrato e se la porta via.



mario.ajello@ilmessaggero.it