L’emergenza coronavirus, con le corse ridotte all’osso, il crollo della bigliettazione e 4mila dipendenti già messi in solidarietà, rischia di riaprire una voragine dei conti che la gestione di Paolo Simioni, presidente e ad dal settembre 2017, era appena riuscita a chiudere. Il bilancio 2018 aveva addirittura fatto registrare un utile, per la prima volta nella storia di Atac, abituata invece a macinare debiti, fino a raggiungere la cifra monstre di 1,4 miliardi.
Il 2020 avrebbe dovuto essere l’anno della prova del 9, per la più grande partecipata dei trasporti d’Italia. Perché l’azienda inizierà a ripagare una pletora di creditori. Centinaia di milioni di euro, spacchettati in diverse rate. Soprattutto, Atac avrebbe dovuto dimostrare di saper migliorare le proprie performance: il servizio per i romani, insomma. Sulla metro, negli ultimi due anni, la frequenza è migliorata e le corse soppresse oggi sono una quota marginale. Il servizio di “superficie”, quindi bus e tram, invece arranca. Nei primi mesi dell’anno, gennaio e febbraio, era arrivata una prima inversione di tendenza, con una crescita dei chilometri effettuati rispetto allo stesso periodo del 2019. Del resto la flotta si stava via via rinnovando e la direzione del Personale aveva arruolato nuovi autisti pronti a salire in cabina di guida. Poi l’effetto virus ha cambiato tutto.
Per il 2020, la municipalizzata prevedeva di maturare utili per 20 milioni. Ma la crisi ha cambiato tutto: «Il risultato del 2020 ormai è evidentemente sfumato», ammette Simioni. Consapevole che in un frangente così delicato «le nostre forze non bastano. Auspico quindi che il Governo, la Regione e Roma Capitale, ognuno per la propria parte, intervengano senza indugio». Per gli esperti di Atac non bastano neanche manovre correttive puntate solo a rimodulare le risorse già previste, come l’anticipo di alcuni versamenti da parte del Comune. La crisi è molto più seria. Servono soldi extra. Una cifra di poco sotto ai 200 milioni. Come ha scritto Simioni, «non c’è più tempo».
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