Ue, adesso si teme il contagio politico

di Marco Gervasoni
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Domenica 26 Giugno 2016, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 13:13
L’Unione Europea è un malato e, come in tutti i corpi debilitati, si teme che le infezioni possano diffondersi. Un contagio non tanto economico, i cui effetti richiederanno tempo prima di essere percepiti, quanto politico. L’esempio inglese è già sfruttato dalle forze nazionaliste e populiste di altri Stati per richiedere l’uscita dall’Unione, e in ogni caso offre loro una chance non indifferente per aumentare il bottino di voti. Tuttavia, per evitare un effetto d’impazzimento, è bene non perdere la testa, dimenticare le sconclusionate analogie storiche con gli anni Trenta e, per dirla con i nostri cari fratelli inglesi, «keep calm and straight on». Quindi prima di tutto distinguere. Un test lo avremo oggi con le elezioni spagnole. Gli ultimi sondaggi, a cui è sempre più difficile affidarsi, accreditano Podemos secondo partito grazie all’alleanza con i comunisti, anche se alcuni sussurri dell’ultimo momento gli regalerebbero addirittura il primo posto. Vedremo. Intanto però il Podemos di oggi non è più quello dei tempi del referendum greco.

L’esempio di Tsipras ha iniettato dosi di realismo nella formazione consorella di Madrid, e oggi il movimento guidato da Pablo Iglesias è molto più cauto nel sostenere l’uscita dall’euro, come si è visto nell’ultimo dibattito televisivo pre-elettorale. Podemos vuole rimpiazzare il Partito socialista in declino mangiandogli una parte dei voti e trasformando il tripolarismo in bipolarismo. Da qui una posizione più realistica che, naturalmente, non è detto sia confermata una volta Podemos fosse al governo. Certo, la sua linea economica resta un pugno in faccia all’austerità tedesca, come quella del vicino governo portoghese. E poi quanto c’è da fidarsi di questi movimenti che, su dossier così delicati, cambiano posizione da un giorno all’altro, come si è visto qui da noi con i 5 Stelle? Più preoccupanti sono invece i casi francese e olandese. Il Front national di Marine Le Pen è nei sondaggi il primo partito; e se a tutt’oggi appare molto difficile vederla all’Eliseo l’anno prossimo, può però dettare l’agenda politica, come del resto ha fatto in questi anni. La richiesta lepenista è pura propaganda, perché la Costituzione francese consente solo al presidente della Repubblica il potere di indire referendum. 

Ma Sarkozy, che potrebbe il prossimo anno tornare alla guida del Paese, non ha escluso di voler consultare i francesi: e oggi la maggioranza di loro risponderebbe con il Franxit, compresi una parte degli elettori di sinistra. Ancora più allarmante il caso olandese, al voto pure il prossimo anno, dove non solo il Partito per la libertà, guidato da Geert Wilders, potrebbe organizzare un referendum ma è anche dato nei sondaggi in costante crescita, benché alle ultime politiche abbia ottenuto solo il 10%, E poi ci sono movimenti in tal senso in Danimarca e in Polonia.
Quanto a noi, la Costituzione vieta di indire referendum sui trattati di politica estera, ma nessuno oggi può escludere un esecutivo di cui facciano parte i 5 Stelle. L’orizzonte è insomma incerto ma aperto: tocca ai governi della Ue, in cui il nostro deve giocare un ruolo essenziale, e alla sua screditatissima commissione, fornire risposte positive. Perché gli inglesi avranno anche commesso un errore a votare l’uscita del loro Paese, ma certo la politica miope di Juncker e del governo tedesco non ha aiutato, né sui migranti, né sulla politica economica, i due dossier che potrebbero far davvero saltare in aria l’Europa.

 
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