Perché divide quello sconto all’omicidio

di Paolo Graldi
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Venerdì 11 Maggio 2018, 00:58

Dall’ergastolo, cioè fine pena mai, a trent’anni di reclusione: in due orette di camera di consiglio la Corte d’Assise d’appello di Roma ha “tagliato” la durata del carcere per l’ex vigilante Vincenzo Paduano, colpevole di aver assassinato l’ex fidanzata Sara Di Pietrantonio, che l’aveva lasciato, ossessionata da una gelosia insopportabile e alla fine omicida. Eppure, il carico delle responsabilità era e resta enorme: omicidio aggravato dalla premeditazione e dai futili e abbietti motivi.

Dagli atti persecutori e, ancora, dallo stalking per finire con l’incendio e l’occultamento di cadavere. Una sequenza di orrori, di azioni altamente criminali inserite in una storia sentimentale come tante e tuttavia minata dal micidiale virus della gelosia, della arroganza del possesso dell’altro, della legge vigliacca del né con me, né senza di me. 

Gli avvocati della difesa hanno giocato la carta del rito abbreviato, la benevola scorciatoia prevista dalla legge per chi accetta il giudizio in tempi rapidi e infatti in questo caso sono trascorsi appena due anni dai fatti. 
La Giustizia mette in campo sconti di fine stagione, taglia di un terzo le pene edittali verso chi accetta di incamminarsi verso il così detto rito abbreviato, un rito premiale senza merito, che serve ad alleggerire il peso insostenibile di processi di durata infinita e, nell’insieme, un macigno che con il suo peso schianta la stessa macchina giudiziaria. L’uomo che ieri ha chiesto perdono non creduto, che ha pianto senza commuovere nessuno, in primo grado sarebbe stato condannato all’ergastolo con l’aggiunta della clausola dell’isolamento diurno se, appunto, non avesse chiesto e ottenuto il rito abbreviato che ha comportato la condanna all’ergastolo semplice. 

Nella sentenza di ieri il reato di stalking è stato assorbito da quello di omicidio e così dall’ergastolo semplice si è saltati alla condanna a trent’anni. Insomma, il gioco delle aggravanti e delle scorciatoie, ha giocato a favore dell’imputato. Sarà la Cassazione, se i pubblici ministeri vi ricorreranno o la difesa che certamente giocherà anche l’ultima carta, a pronunciare la parola definitiva su un caso che ha profondamente scosso l’opinione pubblica. 
Un caso che costituisce l’ennesimo anello di una catena di femminicidi i quali oggi, nel loro insieme, si configurano come un impressionante fenomeno che dilata paurosamente il numero delle vittime. 

Ci si chiede se lo stesso verdetto sarebbe stato pronunciato da un collegio giudicante di soli togati, se la presenza dei giudizi popolari abbia avuto un qualche ruolo in quella che appare, tecnicismi giuridici a parte, una sentenza certamente non leggera e però neppure esemplare. 
C’erano, nella morte di Sara Di Pietrantonio, tutti gli elementi per rappresentare la severità di un giudizio che diventasse, con gli opportuni distinguo, un punto di riferimento, anzi un punto fermo. Perseguitata per settimane, inseguita di nascosto per scoprirne gli spostamenti, Sara sentiva che il suo ex fidanzato nutriva propositi omicidi, avvertiva spaventata che la sua nuova relazione sarebbe stata la causa di accidenti gravi, che la sua stessa vita era in pericolo. Paduano ha premeditato l’agguato in ogni dettaglio, ha atteso che la ragazza passasse per via della Magliana per speronarle l’auto. Poi, con furia incontenibile, la violenza: l’ha strangolata e poi ne ha cosparso il corpo ormai senza vita di benzina e gli ha dato fuoco con l’ingenua idea di cancellare il misfatto riducendolo in cenere. 

Un giorno prima con una Molotov aveva incendiato l’auto di Alessandro, il ragazzo con cui condivideva la sua nuova vita. L’indagine della polizia ha ricostruito, anche attraverso la memoria del Gps della sua auto, quei giorni di lucida follia omicida fino a ricomporre tutti i tasselli di un amore malato, contaminato da sentimenti di possesso dell’altra. Lui non si perdona per quel che ha fatto, la madre di Sara non gli crede, lo considera un manipolatore con tante maschere. 

La corte, vedremo meglio leggendo la motivazione della sentenza, ha accolto parte delle richieste dei difensori e i benefici del rito abbreviato hanno portato ai trent’anni di reclusione. La materia scotta, il dibattito divampa. Il Consiglio Superiore della Magistratura, proprio ieri, ha emanato una serie di stringenti raccomandazioni in materia di femminicidio: indagini serrate, coordinamento tra chi le compie, tempi ravvicinati per la fase istruttoria e poi per quella propriamente processuale. Ci si rende conto che la violenza contro le donne, sta assumendo proporzioni davvero allarmanti e che il passo lento e talvolta incerto e perfino contraddittorio della giustizia diventano involontari alleati del delitto stesso. Torna in mente Einstein: “Il mondo non è minacciato dalle persone che fanno il male, ma da quelle che lo tollerano”.
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