Terremoto, la scossa nata ad Accumoli: «Ora è un paese fantasma»

Accumoli
di Franca Giansoldati
4 Minuti di Lettura
Giovedì 25 Agosto 2016, 09:25 - Ultimo aggiornamento: 17:56
dal nostro inviato
ACCUMOLI (Rieti) Un crocefisso sghembo a ogni scossa oscilla sull'unica parete della chiesa di San Francesco ancora in piedi. Gesù Cristo si è salvato dal vuoto rimanendo aggrappato al muro per un braccio e ora pare il simbolo di una muta devastazione che ha spaccato in due Accumoli, da una parte i morti, dall'altra i vivi che piangono i morti.
 


L'epicentro del terremoto è un magnifico paese appenninico di 600 anime che si popola solo d'estate, adagiato sul Velino, brullo e sassoso. La montagna pare essersi risvegliata da un suo lungo sonno scrollandosi di dosso a scossoni la sua rabbia. Un tuono, un «mostruoso boato» , come lo descrivono gli abitanti raccolti a gruppetti nella piazza dove tutto è crollato. Occhi smarriti si posano sui monumenti che non ci sono più; la Madonna di bronzo che sovrastava l'obelisco dei caduti della Seconda guerra mondiale è stramazzata al suolo e giace in terra. Anche il grande busto di bronzo di Salvatore Tommasi, genio del risorgimento, strappato dal suo piedistallo, sembra un cadavere appena abbattuto. Tutto in pezzi, tutto sbriciolato. Non una sola casa agibile. Crepe, fessure profonde anche trenta centimetri, spaccature sui muri portanti, vetri polverizzati, persiane divelte da una forza smisurata sprigionatasi dalle viscere del Velino.

 

LE LACRIME DEI SUPERSTITI
Le lacrime dei superstiti non bastano a dare la misura del dolore per tutto ciò che non esiste più. Ettore, il cane del benzinaio, vaga solitario tra i calcinacci a muso basso, come avesse paura a rialzare lo sguardo, a guardare com'è ridotto il suo piccolo mondo. La vita in una manciata di secondi è cambiata per sempre. Alessandra è riuscita ad acciuffare suo nipote Stefano salvandogli la vita. Indica il palazzo nel quale viveva. Una ragnatela di crepe, impossibile abitarlo. «Non abbiamo più nulla, sono scappata fuori in mutande. Ho sentito una specie di tuono, difficile da descrivere, un rumore fortissimo come una esplosione poi le pareti le ho viste ondeggiare come fossero di carta. La luce è andata via. Al buio con mio nipote in braccio sono scesa dalle scale, cercando nell'oscurità con il piede se vi fosse ancora il gradino di sotto. Non so come ho fatto».

Nessuno di chi è sopravvissuto sa spiegare come sia riuscito a salvarsi. Una manciata di secondi e poi il baratro. Polvere ovunque, macerie, un calorifero che penzola da un balcone. I primi ad arrivare quassù sono stati i Vigili del Fuoco di Siena. Sono partiti alle 4 del mattino, mezz'ora dopo the big one, la prima schicchera, tra loro la chiamano così, come per esorcizzarne lo sconvolgente, incontrollabile potere. Un ceffone bestiale ha polverizzato il campanile della chiesa di San Francesco, collassata in una rovinosa caduta sul tetto di una casa con tutte le sue pesantissime campane. Gli ultimi rintocchi sono stati a morto: quattro, sul colpo; una giovane coppia e due bambini, Riccardo, otto mesi, Stefano di 8 anni. «Mio fratello era lì, non c'è più» singhiozza Marcella abbracciando sua figlia. «Non possiamo nemmeno entrare in casa per prendere una fotografia, un ricordo dei miei nipoti. Oggi qui tutti siamo un po' morti, perchè ci conoscevamo, si viveva bene». Il sindaco ha gli occhi umidi. Stefano Petrucci, geometra, abitava in via degli Orti. Inagibile anche casa sua. «E' difficile pensare a degli edifici in sicurezza con un sisma del genere». I borghi attorno non sono messi meglio. C'è chi rifiuta di lasciare la propria casa, una delle tante rotte come in un Lego mandato per aria da un bimbo capriccioso.

LA SIGNORA LUCIA
«Sette morti nel comune e quattro dispersi che abbiamo già individuato e stiamo scavando» informa il capitano dei Carabinieri Emanuela Cervellera, arrivata a vedere la caserma che non esiste più. Diversi crolli di edifici danneggiati nella notte sono proseguiti per tutta la giornata. Una scossa, un rumore sordo, una nuvola di polvere alzata dal vento. «Mi dica dove posso andare. Sono 71 anni che vivo qui. Da questa seggiola non mi muovo». La signora Lucia non ne vuole sapere di alzarsi. Si asciuga gli occhi lentamente. «Me ne sto qui sotto questo albero, ma almeno posso vedere la mia casa». Il figlio si inginocchia e la prega di seguirlo, la porterà al sicuro, lontano dal pericolo. Restare a esaminare cosa è rimasto di Accumoli può spezzare il cuore. Su una panchina, fuori dal rischio crolli, una vecchina piagnucola una nenia. Grigia, Grigia, Grigia. E' ancora in vestaglia. E' sotto choc. Grigia è il micio che ha dovuto abbandonare, mentre lei fuggiva lui non si è fatto trovare, e lei doveva scappare, cos'altro poteva fare, e ora è' rimasta senza lui. Due Vigili intervengono per prenderle le medicine. La salita per raggiungere il suo appartamento è una via crucis. Tetti che hanno ceduto, mura collassate, balaustre accartocciate su se stesse. Restano qui e là i segni di una quotidianità spezzata per sempre. I panni stesi, un vaso di gerani da innaffiare, un telefono che suona in una casa, o forse è solo il vento che crea illusioni. La signora Maria segue lesta il vigile, vuole entrare in casa e non c'è verso di lasciarla fuori. Ritorna con un po' di vestiti, un paio di scarpe, le medicine, il gatto in stato catatonico che manco miagola e una borsina della coop. Dentro ci sono alcuni pomodori, una cipolla e una carota. «Voglio farci il soffritto quando arriverò a Perugia da mia figlia». Pensa al soffritto per sentirsi ancora in vita, sopravvissuta a un mondo spezzato che sarà difficile ricostruire.