Sabino Cassese: «Poteri speciali per Roma, lo chiede la Costituzione»

Sabino Cassese: «Poteri speciali per Roma, lo chiede la Costituzione»
di Diodato Pirone
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Giovedì 6 Agosto 2020, 00:09 - Ultimo aggiornamento: 12:09

Mancano pochi mesi alle nuove elezioni per il Campidoglio. Nei giorni scorsi il Messaggero con un fondo firmato da Alessandro Campi ha lanciato l’allarme su una possibile corsa al ribasso per la scelta del prossimo sindaco di Roma. Professor Sabino Cassese, condivide questa crescente preoccupazione?
«Il vincitore delle elezioni comunali a Roma sarà erede di una lunga rovina, per citare le parole del grande poeta argentino Jorge Luis Borges. Capisco che molti si ritraggano. E tuttavia nella sua complessità amministrare Roma resta una delle missioni più interessanti a cui dovrebbero aspirare politici e amministratori italiani, per cui dovrebbero mobilitarsi le migliori energie».

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Altre metropoli nel mondo hanno attraversato lunghi periodi bui e di amministrazioni mediocri, per esempio New York. Ma poi hanno trovato la forza per uscirne. Può accadere anche a Roma?
«Solo a condizioni che venga scelto un politico-amministratore di grandi qualità e notevole esperienza. Potrebbe accadere se, ad esempio, che le forze politiche decidano di candidare persone che si sono sperimentate come amministratori pubblici (un dirigente di un ministero, l’amministratore delegato di una società per azioni, un militare di carriera), in modo da far arrivare alla cittadinanza il messaggio che si fa sul serio».

Che cosa servirebbe innanzitutto a Roma?
«Innanzitutto conoscerla, Roma. Anna Maria Cancellieri, che venne nominata commissario al comune di Bologna, e che poi ha anche svolto il compito di ministro, scrisse che, una volta insediata come commissario, andò in giro per la città, per vedere in quali condizioni fossero le strade e poter constatare come funzionava il traffico».

Un compito chiave per il prossimo sindaco sarà quello della ricostruzione di una macchina burocratica di livello. Come?
«Compito difficile ma non impossibile. Basterà avere un gruppo di collaboratori capaci di stimolare i migliori che ci sono nell’amministrazione capitolina, ma che restano in ombra per l’incapacità del vertice».

E’ vero che Roma ha mezzi inferiori o addirittura inesistenti rispetto a quanto la Francia assicura a Parigi o il Regno Unito a Londra?
«I mezzi sono certamente inferiori, ma solo perché l’Italia non ha la tradizione centralistica francese e non è passata attraverso l’esperienza, abbandonata e poi ripresa, del “Greater London Council”».

Altro punto da approfondire è quello dei poteri speciali...
«L’assenza di poteri speciali non deve essere un alibi per chi ha amministrato male o malissimo la città. Chi vuole ed è capace accende il fuoco anche con la legna umida. Ciò detto, c’è un bel libro di uno studioso francese sulle città capitali, che mostra come hanno uno statuto speciale. Ciò è reso necessario dalla duplice funzione di comunità locale e di Capitale».

Lei è favorevole a nuove norme ad hoc per Roma Capitale?
«La posizione speciale è prevista dalla Costituzione e richiede norme ad hoc».

Cosa propone in concreto? Cosa possiamo “prendere” rapidamente da modelli ed esperienze già testate sul campo?
«Finanziamenti aggiuntivi, un maggiore accentramento (i “municipi” romani non funzionano), maggiori poteri di regolazione del traffico».

Quali interventi sono necessari sull’amministrazione o sulla dirigenza?
«Anche qui lo “spoils system” ha fatto danni. Occorre valorizzare le forze interne, assicurare maggiore mobilità, orizzontale e verticale, introdurre meccanismi di premi e sanzioni».

Un tempo i partiti formavano le loro classi dirigenti presso le amministrazioni locali. Non c’è modo di tornare a quanto di buono quella tradizione produceva?
«È una delle idee di due progetti, quello di Rutelli e quello di Capaldo: scuole di politica e gestione che partono dalla comunità di base».

Non trova che la rassegnazione che talvolta si respira nella Capitale abbia contagiato anche le classi più alte e quelle produttive? Cosa si può fare per rompere questa cappa di mestizia e di tristezza?
«Buona amministrazione, innanzitutto, perché i romani ristabiliscano un rapporto con il proprio Comune. Poi, un sistema di premi e sanzioni, perché l’impressione che si ha oggi a Roma è che tutto sia possibile, senza che vi sia chi controlli».

Se lei fosse un “king maker” chi nominerebbe? Ha in mente qualche nome che, anche al di là di una candidatura possibile, metta a fuoco il profilo di un sindaco di svolta?
«Mi attribuisce compiti e poteri che non ho, né intendo plasmare un candidato. Il profilo di cui parlavo potrebbe essere quello di persone come Francesco Caio, Pier Luigi Celli, Vittorio Colao. Tre persone (con le quali mi scuso per aver “usato” il loro nome pubblicamente) di meriti e qualità anche superiori a quelli richiesti dal compito di sindaco di Roma. Persone di quel valore hanno però contribuito a plasmare aziende, sono sufficientemente lontani da regole e consuetudini di partito, nonché dall’ambiente politico romano. Inoltre hanno o hanno avuto grandi esperienze manageriali ma conoscono le pubbliche amministrazioni. Per Roma sarebbe essenziale anche un sindaco che sappia motivare i collaboratori nel quadro di un grande “spirito di servizio”».

Una missione ai limiti dell’impossibile...
«Ma no. Le soluzioni esistono: per esempio il prossimo sindaco potrebbe impegnarsi nel trasferire a Roma “best practices” sperimentate in altre amministrazioni».
 

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