Anzi, più passa il tempo, più i problemi aumentano. Emerge infatti in modo inequivocabile che, da parte britannica, si sono grandemente sottovalutate le conseguenze della separazione da un’unione durata 44 anni. Una separazione che implica il cambiamento di oltre 12.000 atti legislativi e di 1000 trattati. Si tratta di una trasformazione radicale delle strutture istituzionali e degli assetti economici, politici e sociali della Gran Bretagna.
Tutto questo ha diviso profondamente il governo britannico e sta producendo tensioni sempre più aspre nel mondo politico e, soprattutto, nel partito conservatore sempre più frammentato fra falchi e colombe nel negoziato con la UE. Lo stesso primo ministro Theresa May viene quotidianamente attaccata, ora con l’accusa di essere troppo debole e ora di non sapere quale direzione prendere nelle trattative, mentre il suo grande antagonista Boris Johnson ragiona ancora come se la Gran Bretagna fosse l’impero dominante di tutto il pianeta.
A loro volta la quasi totalità degli alti funzionari e degli ambasciatori teme che la Brexit costituisca un danno irreparabile all’economia e diminuisca l’influenza britannica nel mondo. Si tratta peraltro di un timore avvalorato dal rallentamento della crescita economica degli ultimi mesi, dal calo del prezzo degli immobili di Londra e, soprattutto, dal trasferimento di migliaia di addetti del settore bancario e finanziario verso Dublino, Francoforte e Parigi.
Una via d’uscita che a me sembra impossibile da percorrere, una via che Michel Barnier, capo negoziatore per l’Unione, ha escluso in modo perentorio nel suo intervento al dibattito del Messaggero.
Barnier non solo ha eliminato ogni possibilità di ripensamento ma ha sostenuto in modo inequivocabile che, pur auspicando una “separazione ordinata”, la Gran Bretagna non potrà uscire dal mercato unico e, nello stesso tempo, pretendere di preservarne i vantaggi.
Il caso britannico risulta inoltre diverso dagli altri perché i suoi cittadini sono i soli europei ad avere sempre mantenuto un rapporto talmente privilegiato con gli Stati Uniti fino a fare pensare che questo legame avrebbe potuto sostituire, con la stessa efficacia, l’appartenenza all’Unione Europea. Convinzione che, pur contraddetta da tutti i dati disponibili, rimane ancora ben radicata nella fantasia di molti cittadini britannici. Anche perché il Presidente Trump, pur nella sua costante imprevedibilità, continua a preferire rapporti privilegiati con la Gran Bretagna e ad alimentare espressioni di sufficienza, se non addirittura di disprezzo, nei confronti dell’Unione Europea.
L’unica risposta efficace a queste provocazioni sta nel riuscire a dimostrare che la Brexit, pur segnando una perdita in termini di forza economica, è un’occasione per costruire un’Europa più coesa e politicamente più efficace.
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