Scajola, quella rete con politici del Libano e il finanziamento di Atene

Scajola, quella rete con politici del Libano e il finanziamento di Atene
di Cristiana Mangani
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Domenica 18 Maggio 2014, 13:25 - Ultimo aggiornamento: 13:26
Il giorno dopo il lungo interrogatorio di Claudio Scajola davanti ai pm di Reggio Calabria, l’ex ministro dell’Interno rimasto nella sua cella per incontrare nuovamente gli avvocati e per pregare. I magistrati hanno avuto molto da chiedergli, e chissà che anche questa volta l’ex parlamentare non riesca a convincerli che tutto è accaduto «a sua insaputa». Il contenuto del verbale è stato secretato proprio per permettere agli investigatori della Dia di fare i riscontri su quanto riferito, senza correre il rischio di vedersi bruciare le carte. E in attesa che le indagini vadano avanti, Scajola sembra non riuscire a darsi pace per questo nuovo incidente di percorso, l’ennesimo che lo vede protagonista di questioni giudiziarie. «Ci siamo incontrati alcune volte - spiega padre Vittorio Trani, cappellano di Regina Coeli - Quando uno entra in carcere, il mondo ti crolla addosso. È così anche per lui ovviamente, ma il nostro ruolo, come il percorso educativo che siamo chiamati a portare è uguale per tutti. Ogni detenuto per noi è uguale all’altro».



NO AL RIESAME

Nella cella di dodici metri quadrati, l’ex ministro legge i giornali e guarda la tv. Al procuratore Federico Cafiero de Raho, al sostituto Giuseppe Lombardo e al collega della Direzione nazionale antimafia Francesco Curcio, ha raccontato di avere dato aiuto ad Amedeo Matacena solo in virtù dei rapporti di partito, di legami affettivi e di amicizia. Niente a che vedere con la ’ndrangheta e con gli interessi economici. I suoi difensori Giorgio Perroni ed Elisabetta Busuito hanno deciso di non chiedere, al momento, la scarcerazione al Tribunale del riesame. Almeno non prima che quanto dichiarato nell’interrogatorio venga riscontrato.

L'obiettivo degli inquirenti resta, comunque, quello di far luce sulla rete di «invisibili» che avrebbero favorito Matacena. Evidenziano, infatti, nella richiesta di misura cautelare, che il ruolo dell’ex ministro «va ben oltre la veste di tramite a favore del Matacena e di Chiara Rizzo». E che in tutto questo scenario emerge l'utilizzo «distorto di pregressi rapporti con esponenti politici libanesi, che vengono piegati verso interessi di parte finalizzati a concordare le modalità di un'operazione diretta a procurare l'evasione di un soggetto condannato in via definitiva».



LA BANCA GRECA

Sempre nella richiesta dei pm si fa riferimento anche a un prestito di tre milioni e mezzo di dollari concesso dalla banca Greca «Marfin Egnatia Bank Societe Anonyme», con sede legale a Thessaloniki (Grecia), alla Amadeus spa. Matacena e moglie sarebbero, dunque, riusciti a farsi assegnare denaro anche da uno Stato in crisi come quello greco.
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