Alessandro Campi
Alessandro Campi

Il ruolo di FdI/ Il percorso della Destra nel solco dei conservatori

di Alessandro Campi
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Martedì 3 Maggio 2022, 00:05

Le tre giornate milanesi volute da Giorgia Meloni sono state per lei e il suo partito un indubbio successo: politico e d’immagine. Un evento, quello organizzato da Fratelli d’Italia, che molti hanno visto come un salutare ritorno ad antiche ritualità: il leader che apre e chiude i lavori, i delegati accorsi in massa, lo sfavillio di bandiere, gli ospiti, gli interventi sui temi che andranno a definire il programma in vista delle elezioni. Cose ordinarie, diventate straordinarie solo perché nel frattempo siamo stati annebbiati dalla demagogia anti-politica.
Ma oltre la forma – da convention socialista dei tempi d’oro, s’è detto come massimo del complimento, in realtà il modello erano i repubblicani d’America – in politica bisogna ricercare soprattutto la sostanza. Quella che si può ragionevolmente intravvedere dietro la coltre delle parole d’occasione, delle coreografie e degli slogan ad uso di militanti e stampa. In quest’appuntamento c’erano in ballo due cose tra di loro intrecciate: una di breve, una di lungo periodo, entrambe complicate. La richiesta meloniana di essere riconosciuta leader dai suoi storici alleati di centrodestra, pena una dolorosa rottura del sodalizio e dunque ognuno per sé e tanti saluti. La trasformazione della destra post-post-missina, ancora sentimentalmente legata alla tradizione del neo-fascismo come mostra la fiamma che arde nel simbolo di partito, in una forza che si vuole conservatrice e senza più ricadute nostalgiche.


La prima richiesta è al tempo stesso un azzardo politico e una legittima ambizione. I numeri (ancora virtuali, dunque attenzione a ritenerli reali e stabili) dicono che la Meloni guida il primo (quasi) partito italiano. Ma non è solo una questione di percentuali. C’è dell’altro che gioca a suo favore. 
Lei è l’unica donna leader in un Paese rimasto maschilista anche a sinistra: il vento della cronaca (se non della storia) soffia dunque alle sue spalle. Offre un’immagine di coerenza e fermezza che non è certamente la massima virtù di Salvini: l’uomo che si agita troppo e cambia continuamente idea. E’ giovane e caparbia: Berlusconi è anch’egli caparbio ma l’età è ormai quella che è. Ha scelto l’opposizione solitaria in un Paese strutturalmente incline alle ammucchiate: tutti comandano e nessuno se ne assume la responsabilità. Scoppiata la guerra, s’è prontamente schierata contro la Russia e dalla parte euro-atlantica, facendo ammenda di passate simpatie putiniste. Insomma, ci sta che tocchi a lei provare a guidare il centrodestra, avendo gli altri due leader della coalizione già avuto la loro occasione.
Naturalmente, non è così facile. In politica nessuno regala nulla. Il Cavaliere non molla, Salvini tiene duro, si rischia davvero di arrivare alla rottura. Il centrodestra unito potrebbe vincere nel 2023 (come già molte volte in passato). Ma l’unità solo per vincere dura poco. Ci vuole sì una guida riconosciuta (mettiamo appunto la Meloni) ma anche una base condivisa di valori e obiettivi. C’era in passato, ma oggi?


La seconda sfida, quella per far cambiare pelle alla destra, è anche culturalmente più impegnativa. Dirsi conservatori in un Paese che non ha una consolidata tradizione ideologica conservatrice – il Prezzolini spesso invocato come maestro era un anarchico individualista, scettico e anti-italiano, politicamente inutilizzabile – significa doverla in gran parte edificare a partire dai pochi materiali di cui si dispone in casa. 
A meno di non voler attingere materiali, formule, autori e suggestioni in casa d’altri, ma col rischio d’importare merce politico-intellettuale poco compatibile con la storia e il palato nazionali.

Oggi, ad esempio, in quel mondo va di moda il conservatore britannico Roger Scruton, uno cui piacevano la caccia alla volpe, la chiesa anglicana, la memoria dell’impero britannico, la signora Thatcher, l’empirismo scozzese, l’architettura dei vecchi cottage, le bicchierate nei pub e la vita agreste nelle campagne del Wiltshire. Può andare bene questa roba per un italiano?


Non è detto tuttavia che non valga la pena provare a costruire sul serio, proprio oggi, un partito conservatore. Ci sono molti temi e questioni, nel mondo odierno, che giustificano il “conservare” come scelta politica. C’è da conservare le appartenenze nazionali contro il globalismo che le nega. La famiglia come modello sociale e sfera affettiva primaria contro chi la ritiene una costruzione sociale obsoleta. La tradizione storica contro i demolitori di statue, miti e memorie collettive. L’industria nazionale dagli assalti degli investitori stranieri che quasi sempre agiscono in nome delle rispettive patrie economiche. L’Europa come spazio storico-politico dal rischio di una sua crescente marginalità sulla scena globale. I corpi sociali intermedi dallo statalismo livellatore. La natura e il paesaggio costruito dall’uomo dalla loro distruzione per fini di sfruttamento economico. La libertà individuale dal rischio del Grande Fratello telematico. Il lavoro come atto creativo e realizzazione di sé dall’utopia di una finta società dell’ozio che genera solo povertà di massa. La democrazia minacciata al tempo stesso dalla tecnica e dal populismo.


Ma il “conservare” non può essere solo una scelta difensiva, una forma di polemica contro la deriva dei tempi. Deve trasformarsi in un programma costruttivo e coerente, ancora tutto da costruire stando alle parole pronunciate dalla stessa Meloni a Milano, non sempre coerenti, chiare e convincenti: un europeismo più scettico che critico, un ricettario economico di stampo vetero-statalista, il solito refrain presidenzialista in un Paese che non lo sarà mai, posture e discorsi ancora di stampo marcatamente populista, ecc.
Siamo insomma all’abbozzo di un cambiamento politico-strategico e programmatico. Da seguire con interesse, ma sul quale vale assumere un atteggiamento, se non dubbioso, almeno prudente. La politica italiana, anche a destra, ci ha abituati a operazioni di maquillage elettorale, a finte svolte ideologiche, a riposizionamenti puramente strumentali e alla creazione di bislacchi pantheon ideali (il primo prestidigitatore ideologico-iconografico fu Veltroni quando fondò il Pd, dopo di lui gli imitatori sono stati tantissimi). Il viaggio della Meloni e del suo mondo verso i lidi del conservatorismo – dottrina peraltro dalle molte facce – è appena iniziato. S’attende l’approdo, sperabilmente rapido, stabile e di massa.

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