Marco Gervasoni

Ferita Capitale/ Sgomberi solo dopo 7 anni: così muore lo Stato di diritto

Ferita Capitale/ Sgomberi solo dopo 7 anni: così muore lo Stato di diritto
di Marco Gervasoni
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Domenica 21 Luglio 2019, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 13:06
Morte dello stato di diritto. È ciò a cui assistiamo a Roma davanti alle ultime direttive in tema di sgomberi. La lista appena stilata dalla prefettura affrontando la piaga delle occupazioni che sfregia la Capitale lascia di stucco il cittadino che su un tema così scottante attendeva una parola chiara e definitiva dopo anni di lassismo e continui rinvii.

Sette anni è il tempo stimato dal Viminale per dare corso agli sgomberi delle decine e decine di immobili da anni palcoscenico di illegalità. Sette anni sono un’eternità, praticamente un rinvio sine die che fa alzare bandiera bianca al cittadino inerme: una resa dello Stato nei confronti di chi delinque e con il sopruso calpesta un diritto fondamentale, che si tratti di edifici di proprietà pubblica o privata. Morte dello stato di diritto. È ciò a cui assistiamo a Roma davanti alle ultime direttive in tema di sgomberi. La lista appena stilata dalla prefettura affrontando la piaga delle occupazioni che sfregia la Capitale lascia di stucco il cittadino che su un tema così scottante attendeva una parola chiara e definitiva dopo anni di lassismo e continui rinvii. Sette anni è il tempo stimato dal Viminale per dare corso agli sgomberi delle decine e decine di immobili da anni palcoscenico di illegalità. Sette anni sono un’eternità, praticamente un rinvio sine die che fa alzare bandiera bianca al cittadino inerme: una resa dello Stato nei confronti di chi delinque e con il sopruso calpesta un diritto fondamentale, che si tratti di edifici di proprietà pubblica o privata. 

Giova ricordarlo soprattutto perché qualche giorno fa abbiamo tutti virtualmente assistito allo sgombero di un palazzo occupato nel quartiere di Primavalle. Abbiamo guardato alle gravissime scene di guerriglia urbana contro le forze dell’ordine, quasi da organizzazione di tipo militare. Ancora peggio: abbiamo riscontrato nei giorni successivi manifestazioni di sostegno, da certi ambienti politici, non alle forze di polizia impegnate a far rispettare la legge, ma agli occupanti. Ed abbiamo visto costruire attorno al «bimbo che legge» (ormai è un’abitudine strumentalizzare gli infanti) una campagna in cui, quasi, a passare dalla parte del torto fosse lo Stato.

Ed eccoci dunque al piano illustrato dal prefetto di Roma e dal Viminale, con il concorso del Comune e della Regione Lazio, per i futuri sgomberi: un piano che lascia sgomenti. Esso prevede che i numerosissimi edifici occupati all’interno del comune di Roma vengano sì tutti sgomberati, ma appunto nel tempio biblico di sette anni! Non proprio un esempio di tolleranza zero, dopo tanti proclami legalitari. Capiamo perfettamente che si tratta di affrontare una situazione lasciata marcire colpevolmente da tutte le amministrazioni e gli esecutivi precedenti (e anzi qualche sindacatura del passato alle occupazioni ha persino fornito un’indiretta ma gravissima protezione). 

Capiamo inoltre che esistono ragioni di ordine pubblico e anche sociali che portano a graduare con ragionevolezza, ma con la giusta celerità, gli interventi. Ma come giustificare una così colpevole inerzia davanti al cittadino che non si è affidato alle organizzazioni promotrici delle occupazioni, che faticosamente, con un mutuo o con un affitto, spende una quota importante delle sue entrate per vivere legalmente o ai proprietari pubblici o privati che vedono calpestare un così elementare diritto tutelato, purtroppo oggi solo teoricamente dalla legge? Questo approccio lassista rappresenta appunto la morte dello stato di diritto, o semplicemente dello Stato tout court, quello che, weberianamente, possiede il monopolio della forza perché deve far rispettare le leggi: e se queste leggi vengono impunemente evase e derise, a poco a poco muore la stessa legittimità dello Stato. 

Sette anni sono infatti un’implicita confessione della sconfitta, la cristallizzazione di uno stato di fatto di illegalità, quasi a configurare una, sia pure indiretta, connivenza tra chi la legge la dovrebbe far rispettare e chi la viola. Non solo: una tempistica così dilazionata sembra, anche se involontariamente, voler autorizzare o comunque facilitare nuove, future occupazioni. Tanto, se quelle già in essere verranno perseguite a babbo morto (sempre poi che la tabella di marcia sia rispettata) chissà quando saranno affrontate le «nuove criticità», come si dice in burocratese. Nel leggere la lista, impressionante per numero e dimensioni, degli edifici occupati a Roma sale lo sconforto. Nel clima di bruciante illegalità che si vive quotidianamente nella Capitale, dai più piccoli casi ai più eclatanti, quella delle occupazioni abusive suona appare una piaga nella piaga. Serve un segnale chiaro che la tolleranza in questo campo sia finita, per sempre.
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