Airbnb, giustizia europea contro la piattaforma: «Dovrà pagare la cedolare secca all’Italia»

Confermato l’obbligo di ritenuta fiscale alla fonte con aliquota del 21%, in qualità di sostituti d’imposta

Airbnb, giustizia europea contro la piattaforma: «Dovrà pagare la cedolare secca all’Italia»
di Gabriele Rosana
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Venerdì 8 Luglio 2022, 02:20 - Ultimo aggiornamento: 11:00

Airbnb deve continuare a pagare la cedolare secca all’Italia. Dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, ieri, è arrivata una prima apertura che fa salva l’impostazione scelta dal nostro Paese: con la manovra correttiva del 2017, infatti, l’Italia aveva creato in capo alle piattaforme online, come appunto Airbnb, l’obbligo di ritenuta fiscale alla fonte con aliquota del 21%, in qualità di sostituti d’imposta, sul canone di locazione per gli affitti brevi e l’impegno a comunicare tali dati all’Agenzia delle Entrate.

«Imporre l’obbligo di ritenuta fiscale agli intermediari che intervengono nel pagamento dei canoni è perfettamente coerente», in quanto «l’attività di un gran numero di persone fisiche che non sono soggette agli obblighi gravanti sui professionisti è, per sua natura, difficile da controllare ai fini fiscali», si legge nelle conclusioni depositate dall’avvocato generale Maciej Szpunar, un parere legale indipendente e non vincolante in vista della decisione della causa da parte del collegio. «Inoltre - prosegue il giurista polacco -, il regime in discussione rientra nella competenza fiscale del governo italiano». 

LA DECISIONE

Airbnb replica: «Collaboriamo sempre in materia fiscale, ora aspettiamo il verdetto della Corte Ue».

La sentenza infatti sarà pronunciata solo in seguito, ma secondo le statistiche della Corte Ue, in quattro casi su cinque la pronuncia finale si dimostra in linea con l’argomentazione scelta dagli avvocati generali. E potrebbe segnare un importante punto a favore dell’Agenzia delle entrate, con cui da anni la piattaforma telematica ha ingaggiato un braccio di ferro, che ha portato a una serie di ricorsi presentati da Airbnb al Tar e poi al Consiglio di Stato, fino adesso al rinvio pregiudiziale (un giudizio di compatibilità con il diritto Ue) alla Corte di Lussemburgo. 

I NUMERI

Una vittoria porterebbe pure maggiore gettito nelle casse dello Stato. Nel 2018, il secondo anno di applicazione della “tassa Airbnb”, le entrate si sono infatti attestate ad appena 44 milioni di euro, una cifra di quasi 100 milioni inferiore rispetto ai 139 milioni calcolati nella relazione tecnica del ministero dell’Economia e delle finanze. E ancora più bassa se confrontata con le stime effettuate da Federalberghi, che allora parlava di un ammanco di oltre 250 milioni. Ad adeguarsi alla nuova normativa, infatti, sarebbero stati poco più di 7mila contribuenti. I volumi degli introiti per il bilancio pubblico, non ancora scorporati nelle tabelle del Mef, si prevedono tuttavia necessariamente più ridotti negli ultimi due anni, segnati dalla pandemia e da uno stop generalizzato a viaggi e soggiorni fuori casa. 

Pur dando ragione all’Italia, l’opinione di Szpunar indica tuttavia che l’obbligo di nominare un rappresentante fiscale, previsto dal provvedimento istitutivo della “tassa Airbnb”, costituisce una restrizione sproporzionata, ed è contrario al diritto Ue. Se confermeranno le osservazioni elaborate dall’avvocato generale, i giudici Ue di Lussemburgo finiranno anche per assestare un nuovo colpo al portale. Già due anni fa, infatti, la Corte aveva dato ragione all’amministrazione di Parigi che aveva limitato il numero di alloggi disponibili online e condizionato la possibilità di affittare via piattaforma a una espressa autorizzazione. 
 

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