Pensioni anticipate low cost, senza tredicesima a Natale

Pensioni anticipate low cost, senza tredicesima a Natale
di Andrea Bassi
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Domenica 13 Novembre 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 14 Novembre, 11:17
Chi sceglierà di lasciare in prima il lavoro utilizzando l’anticipo pensionistico varato dal governo, durante gli anni in cui il suo reddito sarà rappresentato dal prestito non percepirà nessuna tredicesima. È uno dei punti della cosiddetta Ape volontaria che sarà inserito nel decreto attuativo della riforma che il governo emanerà a gennaio dopo l’approvazione della manovra. Per capire le ragioni di questa scelta, bisogna comprendere bene il meccanismo scelto dal governo. L’Ape volontaria dà la possibilità di lasciare il lavoro a 63 anni invece che a 66 anni e 7 mesi.

Durante il periodo di anticipo, il lavoratore non percepirà la pensione, ma un assegno mensile erogato dall’Inps sulla base di un prestito bancario. La circostanza che si tratti di un prestito e non di una pensione, è la prima ragione per la quale non è prevista una tredicesima. La seconda ragione, più importante, è che se il prestito avesse dovuto coprire una mensilità aggiuntiva, avrebbe dovuto necessariamente essere di un importo maggiore. Con una conseguenza: alzare la rata di restituzione che incide sulla pensione una volta esaurito il periodo di anticipo. La scelta del governo è stata quella di contenere al massimo al 4,6-4,7% la penalizzazione annua sulla pensione per sostenere il rimborso in 20 anni del prestito ottenuto durante il periodo di anticipo. Sempre in quest’ottica, il governo ha fatto un’ulteriore scelta. Il prestito sarà più basso della pensione. E sarà tanto più basso quanto maggiori sono gli anni di anticipo. Se il lavoratore deciderà di uscire soltanto un anno prima, potrà ottenere al massimo il 95% della futura pensione certificata. Per due anni di anticipo, il prestito non potrà essere superiore al 90 per cento della pensione, mente per tre anni la somma scende all’85 per cento. Queste sono delle soglie massime. Significa che per il «pensionando» sarà possibile chiedere anche delle cifre inferiori, in modo da contenere ulteriormente la rata di restituzione che peserà sulla futura pensione.

LE SIMULAZIONI
Qualche esempio aiuta a capire meglio. Supponiamo, come ha fatto il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini nelle sue slides di illustrazione della manovra, che la futura pensione netta di un lavoratore sia di 1.286 euro mensili. Moltiplicato per 13 mensilità fanno 16.718 euro annui. Se questo lavoratore volesse lasciare il suo posto con tre anni di anticipo, potrebbe chiedere al massimo l’85% di questa cifra, ossia 1.093 euro al mese. Ma questo prestito non sarebbe erogato per 13 mesi, bensì per 12 mesi. Dunque la somma complessiva da restituire sarebbe di 13.116 euro l’anno, per un totale di 39.348 euro. A fronte di questo prestito, il lavoratore dovrebbe pagare a valere sulla sua pensione, delle rate mensili per i successivi 20 anni dell’importo di 208 euro al mese per 13 mesi all’anno.

La somma complessiva restituita alle banche e alle assicurazioni dal lavoratore sarebbe dunque di 54.080 euro.
Le prime dovrebbero applicare, in base agli accordi con il governo, un tasso del 2,5%. Il costo dell’assicurazione, invece, è molto elevato, ed è pari al 29% del capitale, essendo alto il rischio di premorienza dei pensionati. La metà degli interessi e del premio di assicurazione, tuttavia, saranno a carico dello Stato. Inoltre in caso di morte prima di aver rimborsato il prestito, gli eredi non saranno tenuti a onorarlo al posto del defunto. Un meccanismo decisamente complesso, il cui scopo è quello di ridurre il più possibile la rata di restituzione del prestito sulla futura pensione.
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