Barbara Baraldi, la nuova curatrice di Dylan Dog: «Grazie a lui non ho paura. Riporterò in primo piano l'orrore»

La scrittrice e sceneggiatrice: quando ero un'adolescente sola l'investigatore degli incubi mi ha aiutata a sentirmi parte di qualcosa

Barbara Baraldi by Ettone
di Maria Lombardi
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Mercoledì 24 Maggio 2023, 14:40 - Ultimo aggiornamento: 25 Maggio, 07:40

E se Dylan Dog incontrasse Aurora Scalviati? Barbara Baraldi, lei è grande “amica” di entrambi, l’unica che può immaginare cosa accadrebbe. È la nuova curatrice, dopo essere stata anche sceneggiatrice, del fumetto horror più amato in Italia, ed è la scrittrice che ha creato la profiler con un proiettile in testa, protagonista di cinque thriller. Cosa si direbbero, Dylan e Aurora?

«Da questo incontro potrebbero nascere grandi cose. All’inizio Aurora sarebbe un poco acida perché Dylan è un rubacuori, si innamora facilmente, e a modo suo farebbe il simpatico. L’indagatore degli incubi e la profiler del buio potrebbero collaborare a un caso, sarebbe molto interessante».

Chi è per lei Dylan Dog, l’ex agente di Scotland Yard dal passato misterioso nato dall’immaginazione di Tiziano Sclavi?

«Per me Dylan è pezzo di cuore, il primo fumetto comprato con i miei soldi quando ero adolescente. Vivevo, e vivo tuttora, in un piccolissimo paese della bassa Emilia. Ero la classica darkettona, malata di timidezza cronica, mi sentivo ai margini. A 16 anni ho scoperto i fumetti di Dylan ed è stato come trovare una casa. Ho sempre amato le atmosfere gotiche, il lato oscuro della luna, lì c’era tutto il mio immaginario».

In che modo Dylan l’ha aiutata?

«Mi ha offerto una chiave di lettura. La creatura sbagliata in Dylan era solo la vittima di una società che lo giudicava per l’aspetto, ma i mostri erano gli altri, quella massa giudicante. Questo mi consolava molto. Sono stata bullizzata da piccola, ero diversa, abitavo nell’ultima casa del paese con 9 gatti, tre cani e due oche, non andavo alle feste ma leggevo tantissimo, avevo il terrore di essere giudicata. Invece Dylan non giudica mai gli altri, è un personaggio inclusivo, ha abbracciato tutte noi, creature sperdute. Arrivare a scrivere di lui, come sceneggiatrice, una decina di anni fa, è stato come dire grazie, quando ero sola, mi hai fatto sentire parte di qualcosa».

Come ha scoperto i fumetti?

«Ho imparato a leggere su Alan Ford. Vivevo in una vecchia casa di campagna con una soffitta da film horror, si allungava un bastone e scendeva la botola. Mio padre saliva lì spesso, con dei cartoni, e io immaginavo che ci fossero i fantasmi e lui andasse a portare loro i regali così non ci facevano del male. Una volta che ero sola in casa, sono riuscita a tirar giù la botola e ho scoperto che nei cartoni c’erano i fumetti di Alan Ford. Era il segreto di mio padre. E ho cominciato a leggerli anche io».

Poi è arrivato Dylan. Cos’altro le piaceva di lui?

«Il fatto che non fosse un super eroe, lui ha tante problematiche: è claustrofobico, soffre di vertigini.

La sua imperfezione lo rende perfetto. Poi è coraggioso, ha un grande cuore, si lascia stupire dal soprannaturale, non lo esclude, rimane in bilico tra razionalità e irrazionalità. E segue il suo istinto, il suo quinto senso e mezzo, come lo chiama lui. Anche noi dovremmo seguire il nostro quinto senso e mezzo, invece tante volte spegniamo la nostra voce interiore».

Lei ha detto: l’orrore scava nell’inconscio e aiuta ad esorcizzare le paure. In che modo?

«Leggere e scrivere di Dylan Dog per me è come fare una seduta di psicoanalisi, aprire le porte al non visto e al rimosso. Lui è molto più di un fumetto, scava nell’inconscio e per questo ha un potere rivoluzionario. Nella storia “Casca il mondo”, di grande successo, ho parlato del terremoto del 2012 in Emilia. Io vivo nell’epicentro di quel sisma, mi sono trovata con la casa distrutta e i piedi tagliati, ho perso tutto e dormito in macchina. Grazie a Dylan, attraverso questa storia, ho elaborato l’orrore e il terrore del terremoto. Come nella mitologia, quando trovi il nome del demone lo sconfiggi».

Anche Aurora Scalviati, un altro suo personaggio, è nata dal terremoto.

«In quei giorni di grande paura mi è arrivata l’idea di Aurora, la migliore profiler che in un conflitto a fuoco viene colpita e un proiettile le resta conficcato in testa, da quel momento cambia la sua vita, perde tutto anche lei. Mentre le davo la luce, Aurora mi portava via dal mio mondo, dalle scosse continue. L’ho chiamata così per questo, aurora è la prima luce che scalfisce le tenebre».

Dal 2012 scrive di Dylan e adesso ne è anche curatrice: cambierà qualcosa?

«Continuerò a scrivere le storie e sarò la coordinatrice degli altri sceneggiatori e disegnatori, lo farò con cuore e professionalità. Ci tengo a riportare in primo piano l’orrore che aiuta a tirar fuori paure e rimosso. Dopo il Covid e la guerra le persone sono rimaste spaventate. Mai come oggi c’è bisogno di evasione, di un fumetto che ti porti lontano dalle paure del quotidiano esercitando il senso di meraviglia».

Le fumettiste horror sono ancora poche?

«Ci sono più sceneggiatrici di anni fa, ma le disegnatrici sono ancora poche. In Bonelli (la casa editrice, ndr) Paola Barbato è stata la prima sceneggiatrice di Dylan Dog e ha fatto da apripista, io sono la seconda. Poi sono arrivate Rita Porretto e Silvia Mericone, e Gabriella Contu. Credo che finalmente il fumetto si sia aperto a tutti, e ora le bambine possono immaginare di fare le fumettiste».

In un ambiente così maschile come l’editoria, ha detto lei in passato, le donne devono apparire più dure di quello che sono. È ancora così?

«In questi anni le cose stanno cambiando. Mi fa molto piacere che non ci sia stato un grande annuncio sul fatto che fossi la prima donna curatrice di Dylan Dog, sono stata scelta per le storie che ho scritto, è un buon segnale. In Italia abbiamo avuto la grande Carolina Invernizio, la nostra Edgar Allan Poe, che scriveva cose terribili quando si pensava che le donne dovessero fare solo le mogli, le sorelle Giussani che hanno inventato Diabolik, Tea Bonelli che come editrice ha fatto grandissime cose. Ora trovo che sia molto bello normalizzare: l’orrore è anche donna, come il thriller e il giallo».

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