'Ndrangheta viterbese, le difese: «No mafia, semplici criminali». Il boss Rebeshi pronto a parlare

Il Tribunale di roma
«Nessuna mafia, ma criminalità ordinaria». Il processo alla ‘ndrangheta viterbese è alle battute finale. Ieri mattina davanti al gup Emanuela...

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«Nessuna mafia, ma criminalità ordinaria». Il processo alla ‘ndrangheta viterbese è alle battute finale. Ieri mattina davanti al gup Emanuela Attura del Tribunale di Roma è inizia la lunga maratona degli avvocati della difesa. Partita venerdì scorso con con il legale di Skelzen Patozi, Floro Sinatora.


A discutere per 8 lunghe ore le difese dei sodali di Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi ovvero Spartak Patozi, assistito dall’avvocato Giovanni Labate, Martina Guadagno, Sokol Dervishi, Luigi Forieri e Gabriele Laezza. Lunedì, invece, sarà il giorno di Gazmir Gurguri e dei capi con le discussioni degli avvocati di Giuseppe Trovato, Fouzia Oufir e Ismail Rebeshi. Quest’ultimo intenzionato a rilasciare dichiarazioni al giudice. 

Gli avvocati della difesa, in una lunghissima udienza, non hanno mostrato alcun dubbio e tutti hanno battuto sullo stesso tasto. Ovvero che la banda che ha messo a segno oltre 50 attentati a Viterbo in appena due anni non era di stampo mafioso. «Nessuno parlava degli attentati - ha detto l’avvocato Giovanni Labate - non per omertà, ma perché davvero nessuno sapeva chi era l’autore degli attentati incendiari, che venivano effettuati non con finalità economica o di sottomissione ma per puro dispetto».

La pubblica accusa per la banda ha chiesto 135 anni di carcere. Pene altissime mai richieste per sodalizi criminali nella Tuscia. «Le pene richieste - ha continuato Labate - sono draconiane. Il pubblico ministero ha tratto questa banda, sgangherata e mal organizzata, alla stessa strega dei Casamonica o degli Spada. Parliamo di mondi completamenti diversi. Se parli di Spada a Ostia gente ha paura, se fai il nome di Trovato a Viterbo la gente si mette a ridere. La differenza non è formale, ma sostanziale. Spero che tutta la vicenda, sicuramente grave e fastidiosa, venga ricondotta negli esatti perimetri che le competono, senza farsi affezionare dall’idea suggestiva che a Viterbo c’è la mafia o che è stata sgominata la mafia. Sarebbe una stortura e non si farebbe assolutamente giustizia. Si applicherebbero pene esorbitanti per fatti che meritano una sanzione nettamente inferiore».


Ma la parola finale spetta alla giudice Attura, che potrebbe arrivare alla sentenza già la prossima settimana. Non prima di aver ascoltato, lunedì prossimo, le ultime discussioni e le parole dell’imputato numero uno: Ismail Rebeshi. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero