La rivincita dell'Halo: da ostacolo alla visuale a strumento salvavita

La rivincita dell'Halo: da ostacolo alla visuale a strumento salvavita
«Spaventoso, sembrava l’esplosione di una bomba. Sono rimasto sorpreso perché so che da anni le monoposto montano serbatoi speciali in grado di resistere a urti...

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«Spaventoso, sembrava l’esplosione di una bomba. Sono rimasto sorpreso perché so che da anni le monoposto montano serbatoi speciali in grado di resistere a urti fortissimi. In genere se si vede del fuoco è una fiamma che compare all’esterno, dovuta ai freni incandescenti o al motore che si rompe. Deve essere successo qualcosa di strano». A parlare è Arturo Merzario, uno dei piloti che avevano salvato Lauda dal rogo del Nurburgring nel 1976. «L’incidente di Grosjean mi ha ricordato quel giorno. Allora Niki fu fortunato e riuscimmo a tirarlo fuori in tempo. Ma non c’erano i mezzi che ci sono ora. Quando ho visto quel ragazzo saltare fuori ho avuto un sobbalzo al cuore, pensavo fosse morto. Gli è andata molto bene». Lo sa Grosjean, che parlando dal suo letto d’ospedale ha ammesso: «Criticavo l’halo ma mi ha salvato la vita». Quello che ha vissuto il pilota franco-svizzero è stato un miracolo. Uscire in 27 secondi da quella palla di fuoco che avvolgeva la sua Haas spezzata in due, con l’abitacolo incastrato nel guard-rail senza riportare seri danni è un risultato dovuto alla preparazione del pilota che in una situazione terribile è stato capace di non perdere la freddezza, di slacciare le cinture, togliersi le protezioni del casco, staccare il volante e buttarsi fuori dal rogo. Se si guardano le foto di quel che è rimasto della macchina, in mezzo alle due lame d’acciaio, ci si chiede come il pilota si sia potuto salvare, senza riportare nemmeno una frattura.

L’INNOVAZIONE DI TODT


Una gran parte del merito va all’Halo, quella gabbia posta sull’abitacolo, voluto fortemente da Jean Todt, presidente della FIA. Un acronimo che, tradotto dall’inglese, significa “aureola”, come quella di un angelo protettore. Un angelo che, nonostante tutto, è stato costretto sin dal suo arrivo a convivere con le critiche: i piloti lamentavano limitazioni importanti della visibilità. Ma non c’è soltanto questo. Dal 1950 ad oggi la F1 ha visto morire 31 piloti, perciò negli ultimi due decenni la Fia ha lavorato in profondità per aumentare la sicurezza. Basti pensare che in cinque anni il peso delle monoposto è stato elevato di quasi 100 kg, arrivando a 746, per rinforzare tutte le strutture. I crash test sono severissimi e lo ha dimostrato la cellula della Haas che ha resistito a tutto, permettendo a Grosjean di non riportare ferite. I caschi sono quasi blindati possono resistere anche a un peso di 5 chili che piomba sulla testa dall’aletta di diversi metri. «Quando siamo arrivati sul posto dell’incidente - ha dichiarato Jan Roberts, il medico inglese della Medical Car - sapevamo già che era cosciente e che non era in uno stato grave. Da due anni tutti indossano dei guanti biometrici che via bluetooth ci inviano dati in tempo reale su battito cardiaco, ossigeno nel sangue e alti parametri. Lui comunque è stato eccezionale». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero