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ROMA La gara è finita da poco. Xabi Alonso entra in sala stampa. Mastica amaro. La delusione sul suo volto è evidente. All'improvviso arriva la domanda che non si aspetta: «Mister, a Budapest va la squadra migliore?». La risposta è di getto. Accantona il tedesco e la consueta aplomb per rifugiarsi in uno spagnolo aggressivo: «Qué piensas, no dime que piensas?» rivolto all'interlocutore. È un attimo. La responsabile della comunicazione del Leverkusen si allarma. Probabilmente non lo aveva mai visto così nervoso. Ma Xabi come si è acceso, si spegne: «Non voglio comunque piangere, ho la mia idea e penso di no. Ma adesso posso soltanto fare un grande in bocca al lupo a Mourinho». A pensarci bene, se il discorso si allarga alle partecipanti dell'Europa League, ha ragione. Senza che nessuno si offenda, ai nastri di partenza la Roma non era accreditata come la formazione più forte. Lo sta però diventando. Partita dopo partita, turno dopo turno, avversario dopo avversario e il 31 maggio si giocherà la palma della migliore con il Siviglia. Il merito? Di un signore nato a Setubal che troppo presto in molti avevano dato per superato, finito, pronto per la pensione. Se già nel 1935 il regista George Marshall aveva diretto un film "La vita inizia a 40 anni", quella di Mourinho è ripartita alla soglia dei 60. Ditegli quello che volete, schernitelo con i pullman di azulgrana memoria, accusatelo di un catenaccio anni 60': non fate altro che nutrirlo della vostra invidia. Non c'è nulla di casuale in quello che mostra José. Se in quasi due anni a Trigoria sono 43 le gare nelle quali non ha subito reti (22+21), additarlo di un calcio fuori moda non regge.
Roma-Siviglia, sold out i biglietti per la finale di Budapest: 50mila richieste per 15 mila posti
La forza della Roma è proprio nell'organizzazione.
NONOSTANTE TUTTO
Già, perché qualcuno magari se lo è dimenticato o fa finta di non essersene accorto. Ma giovedì José ha staccato il biglietto per Budapest senza Dybala, con Smalling in campo nell'ultimo quarto d'ora e soltanto perché Celik si era fatto male, dopo Spinazzola, costringendo Bove, che come ricorda lo Special «quando sono arrivato giocava con la Primavera sui campi di plastica», a fare il quinto a destra. Scusate se è poco. Il portoghese - intanto deferito dalla Procura Figc per le accuse all'arbitro Chiffi dopo Monza-Roma - è però abituato ad alzare l'asticella. Così se grazie al successo contro il Leverkusen disputerà la terza finale di Europa League della sua carriera (en plein con Porto e Manchester United) potendo vantare due Champions (con Porto e Inter) e la Conference della passata stagione con la Roma, la prossima sfida è quella che conta. La più importante, da non fallire. Poi dopo Budapest si aprirà un altro capitolo. Forse più doloroso che in molti hanno già intuito ma che tutti fanno finta di non conoscere. Ma oggi è ancora un giorno di festa. Da domani, testa alla Salernitana, poi Firenze. Due gare volte a preparare la grande notte. Quella di Budapest, quella dell'all-in stagionale, quella di un fenomeno senza tempo.Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero